Dedico questo mio lavoro a Julija Andriivna Levcenko, Yaroslava Mahucich e a tutti gli atleti ucraini

L’atletica leggera a Varese fra presente e futuro

Dovendo analizzare lo stato in cui si trova l’atletica leggera nella nostra provincia, io partirei dal risultato ottenuto all’Arena di Milano lo scorso ottobre al Trofeo Nazionale delle province riservato alle categorie ragazzi e ragazze, anni di nascita 2008 e 2009.

La nostra squadra (composta da 16 atleti/e in rappresentanza di quasi tutte le società della provincia), si è classificata al 2° posto dopo la provincia di Milano e 6° a livello nazionale dietro solamente a squadre capoluoghi di regione…(Roma sud – Milano – Perugia – Roma nord – Torino….).

Questo ci fa capire il potenziale che abbiamo tra i nostri giovani anche in prospettiva futura.

D’altro canto da sempre i nostri atleti si sono distinti vincendo titoli nazionali e/o vestendo la maglia azzurra in tante competizioni internazionali, cito (ma solo come esempio per tutti) la gallaratese Vittoria Fontana che ha partecipato alle ultime Olimpiadi di Tokio (100 e 4×100).

Altro fattore che ci rivela l’ottimo stato di salute della nostra atletica è il numero di atleti gara.

Anche in tempi di pandemia in ogni manifestazione svolta in provincia c’è stata una altissima partecipazione sia nelle categorie giovanili che assolute.

Da qualche anno a questa parte si assiste ad una inversione di tendenza. Infatti, a parte gli arruolamenti nei gruppi sportivi militari, c’è una minore tendenza per i nostri atleti più forti ad “emigrare” in altre società, specialmente del milanese, preferendo restare in provincia. Ovviamente ciò è dovuto anche al consolidamento, da un punto di vista di disponibilità finanziaria – solidità dirigenziale – staff organizzativo, di alcune società provinciali che sono riuscite così a ritagliarsi uno spazio significativo a livello di Campionati di Società a livello nazionale.

Non dobbiamo poi dimenticare l’importanza degli impianti, nel nostro territorio sono presenti una ventina di piste da 400 mt. outdoor (di cui però solo una metà idonee per poter organizzare una gara) e due rettilinei indoor. Tra queste piste alcune da anni organizzano gare importanti sia a livello regionale che nazionale (Campionati individuali e fasi di C.d.S.), contribuendo così anche a fare “propaganda” per il nostro sport sul territorio.

A fronte di tutto ciò, bisogna anche segnalare alcune cose che non vanno e alle quali bisognerà mettere mano per migliorare.

La prima considerazione è sull’età del Gruppo Giudici Gare…. purtroppo, ma è una tendenza a livello nazionale, i commissari gara sono pochi e con una media alta di età.

La seconda è sul numero di nuovi tecnici istruttori: quasi ogni anno il Comitato Provinciale, con la collaborazione del Comitato Regionale, organizza corsi di formazione per giovani tecnici ma, sui campi, si vedono quasi sempre i soliti volti anche loro un po’ avanti nell’età.

Facendo una riflessione sulla partecipazione alle singole discipline, si nota che alcune gare (soprattutto velocità, salto in lungo e corsa campestre) hanno un elevato numero

di partecipanti, in altre gare più tecniche (ostacoli, salto con asta, salto triplo, salto in alto e lanci del martello e disco) si fa fatica ad arrivare ad un congruo numero di iscritti; anche questa comunque è una tendenza a livello nazionale probabilmente dovuta alla difficoltà di avvicinare i giovani a tali specialità, che vanno costruite con pazienza, tanta attenzione e spesso con lezioni “individuali” o a piccoli gruppi, senza dimenticare la necessità di strutture adatte (asta) o impossibilità a lanciare sui campi da calcio. Si preferisce quindi avviare a specialità più “semplici”, almeno per quanto riguarda l’aspetto della preparazione tecnica.

Per ultimo la situazione pandemica mondiale ci ha restituito sui campi di allenamento ragazzi impauriti, psicologicamente complessi e molto compromessi a livello motorio. E’ su questi aspetti che si dovrà molto lavorare per ritornare ad avere giovani sportivi ai livelli raggiunti prima dell’emergenza sanitaria.

Nel complesso, comunque, penso si possa affermare che lo stato di salute attuale della nostra atletica sia decisamente buono ed esistono ottime prospettive di crescita per i prossimi anni.

 

Fabio Ferrazzi Presidente Comitato Provinciale Fidal Varese

Il buon Filippide non sa cosa si è perso

Il buon Filippide non sa cosa si è perso. Suo malgrado, fu costretto a sciropparsi ben 42,195 kilometri bardato di tutto punto, sotto una canicola feroce, con sandali malandati e l’ansia di arrivare in tempo ad avvisare i concittadini ateniesi della straordinaria vittoria ottenuta sull’orda persiana. NIKE! Urlò. Già, peccato che, lui, le Nike non le aveva. E nemmeno un abbigliamento leggero. E crollò al suolo. Mancò la fortuna, non il valore. Viaggiamo con la fantasia. Ipotizziamo che l’atleta Filippide, un giovane di belle speranze, viva ai nostri giorni e che frequenti la Scuola Media Vidoletti. Il ragazzo è ben plasmato, fisico asciutto, ottima postura. In palestra, durante le ore di Educazione Fisica, si muove con armonia, coordinato e potente, abile e determinato. Un leader. I Tre Re Magi dell’attività motoria, i proff Lenotti, Piazza, Zanzi, Sacerdoti dell’Arte Sportiva, notano immediatamente il giovane, lo sgrezzano, lo lubrificano, lo caricano di ottani e, con somma gioia, lo indirizzano alla Piana di Maratona bosina, il Campo Scuola di Atletica Leggera di Calcinate degli Origoni. Talento e qualità, disciplina ed applicazione costante. Il ragazzo è di ottima gamba, materiale vero su cui lavorare, pane per i denti dei due Esegeti dell’Atletica in salsa biancorossa, i Proff Bruno Pinzin e Giuseppe Balsamo. Si definisce Atletica Leggera, si legge Arte del Movimento. E’ come una moto da Gran Premio, per molti ma non per tutti. Sarà l’aria che si respira ad ogni allungo, sarà la straordinaria visione che ti si presenta appena metti piede in campo, con il nostro Santo Protettore Sacro Monte che ti osserva dalla cima – pacifico, benevolo, resiliente – ma allenarsi, correre, lanciare, saltare, marciare in codesto luogo di culto assume un valore sportivo impagabile. L’Atletica Leggera è differente. E’, certamente, un modo di essere. L’Atleta è postura e fisicità, autocontrollo ed autostima. E poi destrezza. Mi ha sempre affascinato il termine ‘destrezza’. Dai tempi del Liceo, accostata al mio eroe Odisseo. Versatilità, scaltrezza, prontezza nel decidere, sinonimo di mente complessa e sagace. Come nell’Atletica, ingegno e coordinazione. Ed al Campo Scuola di Calcinate, Grotta di Betlemme dell’Atletica varesina, ogni disciplina è un’enciclopedia di sapienza motoria, è un’Odissea di Destrezza. Bimbi di ogni ordine e grado, adolescenti e ragazzi di varie estrazioni corporee, plasmano la loro passione per lo Sport guidati, coccolati, formati da tecnici preparati e capaci. L’atletica a Varese è, da sempre, una palestra a cielo aperto. Abbiamo uno straordinario potenziale naturalistico sportivo con pochi eguali in Italia.

La mia vita sportiva è stata densa di esperienze motorie e, naturalmente, non poteva mancare la Regina dello Sport. Iniziò tutto per evitare un’interrogazione di Fisica in Terza Liceo… Mi iscrissi ai famosi Giochi della Gioventù scolastici. L’unica disciplina libera erano i 400 metri piani. Corsi, arrivai terzo e l’allora indimenticabile Presidente del CONI Kicco Ravasi mi spronò a non abbandonare – giocavo a calcio in quel periodo – aveva intravisto delle qualità. A distanza di anni, da studente ISEF, ecco che appare Sua Maestà Giuseppe Balsamo, Vicerè del Salto in Lungo e del triplo, che mi coinvolge in gare vere, con atleti allenati, mica bruscolini…Gareggio per i colori della mitica Atletica Travedona, la mattina sull’anello arancione in tartan, il pomeriggio con la maglia granata della Vergiatese sul campo di Calcio. Procede tutto alla grande, è un bagno di Sport. E poi, un sabato pomeriggio di un giorno da cani, non caldo ma olio bollente, accade. Cremona, finale dei 400. Sì, mi sento Filippide…L’atleta dell’Atletica Garbagnate tiene un ritmo forsennato. Non posso lasciarlo andare. Run For Your Life suonavano gli Yellowjackets. Ed allora lo inseguo. Dietro di noi il diluvio. Ho le gambe pesanti, il fiato corto, nebbia davanti agli occhi. Lui fugge. E’ più forte, giù il cappello. Ma io DEVO arrivare. E’ la legge dello Sport, mai mollare, determinati sino alla fine. Manca poco, mezzo rettilineo. Taglio il traguardo. Non respiro. Intravedo un signore con una corona di spine che mi sostiene. Torno lucido. Il vincitore è accanto a me, mano tesa. “Bravissimo, mi hai dato filo da torcere. Hai fatto un gran tempo, 56” e 4.” Pozzanghere di acido lattico intorno a me, mi muovo e sembro un automa. Ma la gioia è impagabile. Sensazioni che solo lo Sport ti concede. Emozioni che unicamente l’Atletica Leggera ti trasmette.

Marco Caccianiga

Coordinatore Tecnico Delegazione Provinciale CONI Varese

1    Una domenica in via Manin

Domenica 10 ottobre 2021, ore 9 e 15 di una mattina dal cielo con poche nuvole e dall’aria frizzante. Diremmo quasi fredda. Via Manin, zona Masnago di Varese, da molti minuti è un fermento di gente d’ogni età che corre, corricchia, scatta, allunga, fa esercizi di mobilizzazione, si riscalda in vista della competizione imminente. Gente d’ogni età e foggia, gli agonisti più ’seri’ in canotta e braghette, resistenti al gelo, e poi man mano che diminuisce l’agonismo ci si copre di più. Con le dovute eccezioni. Singolari corridori avanti negli anni corrono ricoperti da un sottile lenzuolo trasparente di plastica, si vedono i loro muscoli stagionati, secchi ma ancora vogliosi. Musica, un altoparlante che richiama gli atleti, che spiega i termini della questione. Sta partendo, dopo il digiuno da pandemia, la prima edizione della Varese City Run, con diverse gare. Abbiamo una 10 km agonistica, omologata Fidal, una mezza maratona agonistica, sempre sotto l’egida della Federazione, quindi una 10 km non agonistica e persino una Family Run.

Alle 9.15, come anticipato, ecco la partenza della prima gara, la 10 km agonistica. Fra gli atleti lì scalpitanti in prima fila, maglia gialla delle Fiamme Gialle, Pietro Arese, promessa del nostro mezzofondo. Alla fine sarà proprio lui a passare per primo sotto il gonfiabile all’interno dello stadio ‘Franco Ossola’. Ma sempre fra gli agonisti abbiamo Alfredo Bianchetti, 86 anni, unico iscritto fra i senior over 85, un mito dello sport varesino. Via, si parte: in salita per via Manin, poi tre chilometri di discesa sino in centro città, giro fra ville e parchi, ritorno allo stadio da via Crispi, arrivo dopo dieci chilometri abbondanti. Subito dopo al via la mezza maratona, la prima omologata Fidal nella nostra città. Finalmente anche Varese ha la sua half marathon. Loro di giri ne correranno due e sono in tanti, davvero in tanti, un fiume colorato che esonda sull’asfalto, qualcuno tiene in mano un palloncino con il tempo previsto, un richiamo a non sgarrare con il ritmo, occhio al cronometro, diluire lo sforzo. Quindi le restanti due corse. Qui i runners dai pettorali numerati soprattutto sorridono, parlano, si incoraggiano, battute e lazzi, qualcuno cammina già in partenza, per non esagerare. Qualche spettatore applaude, foto coi cellulari, si torna alla vita e allo sport, dopo un paio d’anni di carestia.

Partiamo da qui, da questa corsa d’inizio ottobre, per la nostra risalita nel tempo, sulle tracce delle vicende legate all’atletica leggera a Varese, città e immediate vicinanze, senza voler comprendere tutta la provincia, che vanta eccellenze a Busto Arsizio, a Gallarate, a Saronno, a Cairate… storie che meriterebbero un libro per ogni grande città del sud della provincia.

              La partenza della 10 Km competitiva. Pietro Arese, speranza del mezzofondo italiano, che vincerà la gara, è con la maglia gialla delle Fiemme Gialle.
              Fra i partecipanti alla 10 Km competitiva anche la dottoressa Serena Martegani, medico sportivo (eccola a sinistra n* 1211) e il più anziano partecipante, Alfredo Bianchetti, 86 anni (dietro a Martegani, capelli bianchi, n° 1210).
            La partenza della half marathon.
              Assembramento di podisti in Via Manin.
              La partenza della 10 km non competitiva.
              La partenza della 10 km non competitiva.
Presentazione della Varese City Run
La vittoria di Pietro Arese nella 10 km Varese City Run

2    Da sempre l’uomo corre, lancia e salta

Da sempre l’uomo corre, lancia e salta. All’inizio per necessità, a poco a poco anche per diletto. Si può stabilire un inizio dell’atletica leggera non solo come corsa verso o per fuggire da una preda? Un salto non solo per evitare un pericolo, superare un burrone, scendere da un rialzo? Un lancio non esclusivamente di un sasso o di una lancia? Gesti atletici non a fini bellici? Certezze non ne abbiamo. Sappiamo che la civiltà egizia, 3000 anni prima di Cristo, organizzava gare di tiro con l’arco, corse dei cavalli, lotte e si sa di una corsa rituale dei faraoni, la Heb Sed: prima di essere giustiziati, i prigionieri dovevano correre lungo un percorso prestabilito. Corsa macabra e crudele.

Bisogna attendere i giochi olimpici dell’antichità, ma anche qui nessuna data sicura. Quando ebbero inizio i giochi in Grecia, culla dello sport? Nel 1222? Nel 1000? Nell’884? Certamente si era avanti Cristo…e di molto. La prima certezza arriva nel 776 avanti Cristo, quando si sa che un cuoco, Corebo di Elea, vinse alle Olimpiadi nella gara dello stadion, cioè 192 metri di corsa di velocità. Come premio ebbe una mela. Sappiamo poi che nelle Olimpiadi del 708 a.C. venne introdotto il pentathlon, cioè corsa, lotta, salto in lungo, lancio del disco e del giavellotto. E’ nota al mondo la meravigliosa statua del Discobolo, realizzata da Mirone intorno al 455 a.C., originale in bronzo, a noi giunta in copia marmorea.

Nella Grecia antica gli atleti in genere erano ben pagati, nessun dilettantismo. Gareggiavano anche le donne, prima di partorire, prima di sposarsi, giovani donne che si esibivano nude o parzialmente vestite, come le Amazzoni. Olimpia accoglieva anche loro, un mese prima degli uomini, impegnate soprattutto nella Corsa di Era, 160 metri, in onore di Era, dea dell’Olimpo, moglie di Zeus.

Nella Magna Grecia famosi erano i corridori di Crotone, che per un centinaio di anni (588-488 a.C.) tennero alto il nome della località oggi calabrese. Come non notare che Barletta non dista molto da Crotone, Barletta cioè Pietruzzo Mennea, la freccia del Sud?

Molto documentata è anche la storia di Egeo, nato nel 350 a.C. ad Argo, città-stato della Grecia. Esile, poco adatto alla corsa di velocità, dimostrò subito grande resistenza. Dopo mesi di allenamento partecipò alle Olimpiadi dell’agosto 326 a.C. nel dòlikos, gara sulla lunga distanza, ventiquattro passaggi dello stadio di Olimpia, circa 4600 metri. Naturalmente vinse e carico di endorfine, subito dopo la cerimonia di premiazione partì di corsa, coprì i 100 km che separano Olimpia da Argo ed entrò da eroe nella sua città natale.

E siamo al 5° secolo avanti Cristo, in Italia. Nella Tomba dei carri a Tarquinia abbiamo forse la più completa documentazione sportiva non solo dell’Etruria. I dipinti rappresentano per la prima volta anche il salto con l’asta.

I romani non concepirono il gesto atletico allo stesso modo dei greci, mens sana in corpore sano, il corpo sì ma anche e soprattutto la mente. Però il filosofo Seneca amava camminare, conosceva i benefici del movimento anche nel generare buone idee. Dopo aver conquistato la Grecia, spesso ‘importarono’ atleti ellenici; gli imperatori romani istituirono giochi in onore degli dei. Nell’80 dopo Cristo l’imperatore Silla, per celebrare una grande vittoria militare, trasferì le Olimpiadi a Roma (eccezion fatta per le gare di velocità, che rimasero ad Olimpia), fece costruire il primo stadio romano sullo stile degli stadi greci. Ma le gare di atletica non ebbero mai un seguito come le lotte fra gladiatori o le corse delle bighe: troppo poco sangue, troppo poco dramma. Non si hanno notizie di donne romane atlete, anche perché le donne si sposavano giovanissime, dopo la prima mestruazione.

Il cristianesimo divenne la religione ufficiale di Roma nel 381 dopo Cristo e nel 393 l’imperatore Teodosio I vietò i Giochi Olimpici. Il cristianesimo considerava il corpo come oggetto di peccato, carne da redimere, e le attività sportive come omaggio al paganesimo.

Iniziano tempi bui per l’atletica leggera intesa come rito sacrale, come omaggio agli dei, come spettacolo. Restano le gesta atletiche legate alla guerra, la preparazione militare che non poteva non tener conto della resistenza fisica, quindi della corsa e del lancio. Ma poco è dato sapere, come ben poco si sa dell’evoluzione atletica nella sterminata Cina o nelle Americhe precolombiane. Senz’altro abbiamo la corsa dei messaggeri, dei corrieri, corsa professionale.

Un poderoso salto triplo

Poiché non è nostro intento approfondire questo aspetto, con un poderoso salto triplo superiamo molti secoli e ci portiamo in quella che può essere senz’altro definita la culla ‘moderna’ di ciò che intendiamo noi oggi per atletica leggera, e cioè la terra anglosassone: Inghilterra, Scozia, Irlanda. Ma siamo già alla fine del ‘700 e agli inizi dell’800. E al principio fu soprattutto il podismo ad imporsi, vista la facilità di pratica, non essendo necessario uno stadio o impianti particolari. Facendo riferimento alla corsa e alla marcia molte città organizzarono la loro gara, e sono ben documentate le avventure (forse un poco romanzate) di personaggi incredibili. Fra questi ne citiamo due. Uno (siamo agli inizi dell’Ottocento) è George Wilson, arrestato per la sua patologica abilità nel contrarre debiti, che ebbe la stramba idea di correre per undici ore di seguito nel cortile della prigione, 90 metriquadri in tutto, coprendo una distanza di circa 80 chilometri. E che dire di Robert Barclay Allardice of Ury (1779-1854), meglio noto come captain Barclay? Considerato il padre del podismo mondiale, nel 1809, a trent’anni, per 1000 ghinee corse 1000 miglia entro le 1000 ore.

Naturalmente lo spirito atletico anglosassone si propagò negli Stati Uniti, tanto che la prima riunione d’atletica moderna, tenuta cioè con criteri e caratteristiche tecniche simili ad oggi, si ebbe in una località del New Jersey (Usa) nel 1838. Nel 1849 è il turno dell’Inghilterra, con una riunione dalle regole codificate a Woolwich.

Nei ‘colleges’ d’oltre Manica l’atletica leggera fiorì: Eton, Exeter, Oxford, Cambridge…Nel 1850, ad Exeter, venne costituita e organizzata la prima società d’atletica del mondo.

Nel 1864 le due squadre universitarie di Oxford e Cambridge si incontrarono-scontrarono per la prima volta, con un programma agonistico di 8 gare. Sempre nel 1864, a Londra, in una riunione ‘indoor’, il professionista Robert Musgrove arrivò a 3 metri e 43 centimetri nel salto con l’asta. Nel 1866 ecco i primi campionati inglesi di atletica, organizzati dall’Amateur Athletic Club; nel 1876 si disputarono i primi campionati statunitensi.

La passione per l’atletica oltrepassò la Manica, diffondendosi in Francia, Belgio, Germania, Cecoslovacchia.

Sono gli anni nei quali l’archeologo Ernst Curtius rivela al mondo le rovine di Olimpia, scoperte che fanno sognare l’idealista aristocratico francese Pierre de Coubertine. Ha poco più di trent’anni quando la sua passione per lo spirito di Olimpia riesce a far nascere le Olimpiadi moderne, in programma nel 1896 ad Atene, dal 5 al 14 aprile, dodici prove per l’atletica: 100, 400, 800, 1500, 110 ostacoli, maratona, salto in lungo, salto triplo, salto con l’asta, salto in alto, lancio del disco e del peso. La pista è lunga 333,33, curve strette e lunghi rettilinei.

Il solo vincitore europeo ad Atene nelle gare di atletica è Spyridion Louis, un pastore greco ventiseienne che arrivò primo nella maratona, la corsa di 42 e 195 metri che si ricollega idealmente al sacrificio di Filippide. Il soldato greco nel 490 avanti Cristo corse dalla piana di Maratona ad Atene per annunciare la vittoria dell’esercito ellenico contro Dario I di Persia; giunto ai piedi dell’Acropoli morì per la fatica. Una morte che più di uno mette in dubbio, visto che allora i soldati erano abituati a corse e marce ben più lunghe di quella distanza. Ma non è questo ciò che ci preme approfondire, tenuto poi conto che la leggenda spesso colora di tinte nuove eventi storici forse meno clamorosi. Ci preme sottolineare che quella prima maratona di Atene avrebbe potuto essere vinta da un altro europeo, da un italiano, addirittura da un varesino. E qui finalmente arriviamo al nostro territorio, e alla storia di Carlo Airoldi.

Il discobolo di Mirone, l’originale venne scolpito nel bronzo presumibilmente nel 455 a.C., ma a noi è giunto copia in marmo.
Lo stadio di Atene, che ospitò la prima edizione dei Giochi Olimpici moderni, nel 1896. La pista era lunga m. 333,33, curve strette e lunghi rettilinei.
Spyridion Louis, il pastore ellenico che vinse la prima maratona olimpica di Atene.

3   Carlo Airoldi e la maratona sognata

Anno 1869, alla Cascina Broggio di Origgio, allora provincia di Milano ma dal 1927 provincia di Varese, nasce Carlo Airoldi, figlio di contadini. Fra i divertimenti dell’epoca, fra gli sport più praticati anche a Varese, c’è il podismo, una faticosa modalità anche per raggranellare un po’ di danaro. Carlo, dotato del fisico adatto, è fra coloro che scelgono di produrre nuovo sudore e calli ai piedi (in aggiunta al lascito del lavoro dei campi) correndo nelle gare di paese. La prima documentata risale al 1891, una ‘tapasciata’ a Gorla, Airoldi ha 22 anni, è nel pieno del vigore e vince. Vittoria chiama vittoria ed entusiasmo, Carlo si fa notare, partecipa a gare nazionali ed internazionali e comincia ad incrociare le armi con quello che sarà il suo più agguerrito rivale, un marsigliese, tale Louis Ortègue. Nel 1892 l’origgese piè veloce vince la Lecco-Milano, qualche tempo dopo è primo alla Milano-Torino, ma la gloria arriva nel settembre del 1895, quando riesce a partecipare – con fatiche per racimolare i soldi del viaggio – alla Milano/Barcellona, 12 tappe, 1050 chilometri. Sono in trenta alla partenza e naturalmente c’è anche Luis. Arriviamo subito al dunque, cioè all’ultima tappa e all’ultimo chilometro: finalmente Carlo Airoldi riesce a superare Ortègue che, prossimo al traguardo, stramazza a terra. E Carlo che fa? Si volta, torna sui suoi passi, carica il rivale in spalla e taglia il traguardo dicendo (non si sa se in dialetto, in italiano o in spagnolo): “Ecco, io sono primo e il mio avversario ce l’ho in spalla ed è secondo.” Guadagnerà 2000 pesetas e molti articoli sui giornali. Ma non diventerà ricco.

Nel novembre del 1895 Carlo, galvanizzato dalla vittoria in terra spagnola, sfidò Buffalo Bill (in Italia per alcune esibizioni) sulla distanza di 500 km, lui di corsa e l’altro a cavallo, ma Bill non accettò perché pretendeva di avere a disposizione due cavalli mentre Airoldi non era d’accordo.

Airoldi (che contemporaneamente faceva l’operaio in una fabbrica di cioccolato e praticava anche lotta e sollevamento pesi) seppe della Prima Olimpiade ad Atene. Era fra i più forti al mondo e avrebbe potuto vincere. Ma come procurarsi i soldi per il viaggio? Contattò il giornale milanese ‘La Bicicletta’ che accettò di sponsorizzare l’atleta, facendosi carico delle spese di viaggio, un viaggio che Carlo programmò a piedi, come allenamento, facendolo addirittura precedere da una corsa di 5 km di riscaldamento. Era il 28 febbraio del 1896. Partenza da Milano, 70 km al giorno, Italia, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e infine Grecia. Incredibili le peripezie per arrivare alla sede dei Giochi (consiglio la lettura del bel libro di Manuel Sgarella, ‘La leggenda del maratoneta’ – Macchione Editore, 2005), fatto sta che l’Airoldi ci riuscì, percorrendo gli ultimi 22 km, da Eleusi alla capitale ellenica, il 31 marzo. Ma il fato non era con lui. Si recò subito a Palazzo Reale, sede del Comitato Olimpico, rivolgendosi al presidente del CIO, il principe Costantino. Venne a galla la sua vittoria nella Milano/Barcellona, il premio in danaro: non era un dilettante, quindi niente Giochi olimpici. A nulla valsero i telegrammi, le proteste arrivate dall’Italia: Carlo non venne iscritto. Niente affatto convinto, ugualmente pensò di correre la maratona, fuori gara, per dimostrare che era il più forte e l’avrebbe vinta. Venne fermato da un giudice, passò una notte in carcere, lanciò la sfida a Spyridion Louis, ma il greco non la accettò. Sabato 18 aprile 1896 il giornale ‘la Bicicletta’ riportava questa dichiarazione del varesino escluso ma non rassegnato ad accettare il verdetto dei giudici: “Fino questa mattina ebbi sempre speranza di correre, ma pur troppo non mi venne nessun avviso e dovetti assistere alla gara di Maratona, per la quale è un mese che mi affaticavo nella certezza di prendervi parte. Fino all’arrivo mi mantenni tranquillo e calmo, ma quando arrivò il primo e si sentì il colpo di cannone, allorché la bandiera greca s’innalzò, non mi sentii più padrone di me (…) Vedere arrivare il primo in mezzo a tanta festa ed io non poter correre per delle ragioni assurde fu il più grande dolore della mia vita. L’unica ragione, a quanto parve a molti, è che era desiderio di tutti che il primo fosse un greco e per questo basandosi sul regolamento venni escluso, perché io presi del denaro a Barcellona. Dunque non potevo darmi pace. Il premio d’altra parte era rispettabile: una coppa, una corona e 25.000 lire. Per un giovane che nulla possiede come me, all’infuori del coraggio e che ha quasi la certezza di arrivare primo è un bel dispiacere. Al Comitato feci valere le mie ragioni, dicendo che in Italia lo sport pedestre non è sviluppato abbastanza per poterlo fare di mestiere, e che il denaro che presi a Barcellona fu una regalìa del Municipio, come si è fatto per il vincitore della Maratona, ma tutto fu inutile (…) Dopo tutto mi consolo perché a piedi vidi l’Austria, l’Ungheria, la Croazia, l’Erzegovina, la Dalmazia e la Grecia, la bella Grecia che lasciò in me un ricordo indelebile. Mi consolo pensando agli allori riportati in Francia e Spagna, ma se per quel viaggio partii in giovedì per questo partii in venerdì e in Venere ed in Marte né si sposa né si parte. Ora però tutto è finito e fra poco sarò a Milano.”

Destinato ad una vita di fatiche e di sfide, Carlo Airoldi continuò a gareggiare, a sfidare altri ‘pedestri’ (nota la rivalità con un certo Gamba), poi per cercare lavoro fu in Svizzera e in America Latina. Rientrò in Lombardia, si sposò, ebbe sei figli, divenne organizzatore di eventi, morì il 10 giugno del 1929 per diabete.

Carlo Airoldi: tanta fatica per nulla. A piedi da Milano ad Atene per fare da spettatore.
La grande camminata di Carlo Airoldi.

4   Carlo Speroni, la locomotiva di Busto Arsizio

Non lontano da Origgio, paese natale di Carlo Airoldi, è Busto Arsizio, sempre in provincia di Varese. E qui, il 13 luglio del 1895, venne alla luce Carlo Speroni: Carlo, un nome che, come vedremo, fa bene all’atletica, soprattutto alla corsa di resistenza. Siamo alla fine di un secolo, all’inizio di uno nuovo, quando anche in Italia l’atletica comincia ad organizzarsi.  Il 30 ottobre del 1897 prende il via il primo Campionato Italiano Pedestre, nello stesso anno ecco il Primo Congresso Pedestre italiano. Nel febbraio del 1908, a Torino, nasce presso il Caffè dello Sport, in corso Stupinigi, l’Unione Podistica Italiana.

Ma torniamo allo Speroni che nel 1910, a soli 15 anni, è già fra i primi nel doppio giro di Busto. Avrà sentito parlare di Carlo Airoldi e della sua mancata maratona di Atene? O forse avrà letto di Dorando Pietri, l’atleta emiliano iscritto alla Società Ginnastica La Patria di Carpi che, alle Olimpiadi di Londra del 1908, venne squalificato nella Maratona perché, barcollante nei pressi del traguardo, trovò sostegno in alcuni giudici troppo solerti; squalificato sì, ma reso famoso dall’episodio, tanto da meritare una coppa d’argento offerta dalla regina Alessandra e fama imperitura? Non è dato saperlo, fatto sta che Carlo Speroni, operaio in una delle tante fabbriche tessili della zona, nel 1912 partecipa ai Campionati Italiani FISA allo stadio Bentegodi di Verona, è secondo nei 10.000 in 33’27” e, il giorno dopo, primo nella 20 km su pista in un’ora, 11’ e 29”.

Il 1912 sarà un anno molto importante per lui. A soli 17 anni Carlo è già in grado di affrontare una maratona. Il 16 giugno 1912, a Milano, stabilisce il record italiano nella 25 km su pista in un’ora, 29’ 36”. Viene quindi convocato nella nazionale, che parte per le Olimpiadi di Stoccolma. Il 14 luglio 1912, nella città svedese fa un caldo anomalo, 30°. Gli atleti impegnati nella maratona soffrono la calura, addirittura il portoghese Francisco Làzaro, che si era coperto il corpo di unguento riducendo il beneficio della termoregolazione dato dalla sudorazione, cade a terra in fin di vita (morirà il giorno successivo). Speroni si ritira al 35° chilometro, quando era in 6^ posizione. Il 12 maggio del 1913 è secondo alla maratona di Milano, con il tempo di 2 ore, 44’ e 57”.

Gli anni dal 1915 al 1919 vedono l’attività sportiva di molto ridimensionata causa il primo conflitto mondiale. Carlo Speroni sino al 1917 riuscì ad evitare per varie ragioni la chiamata alle armi ed ottenne buoni risultati nelle poche gare che si disputarono in quel periodo, anche se bisogna tener conto che molti atleti dell’epoca andarono in guerra, alcuni morirono, altri rimasero mutilati. Nel 1917 Carlo andò in guerra ma non raggiunse mai il fronte, impegnato soprattutto nella propaganda.

Alle Olimpiadi di Anversa del 1920 Speroni partecipò sia ai 10.000 che ai 5.000. Nella gara più lunga fece ottima figura in batteria ma preferì rinunciare alla finale, per concentrarsi sui 5.000, dove avrebbe incontrato il grande Paavo Nurmi. Lo superò in batteria, ma in finale arrivò 7°. Partecipò anche ai 3000 metri a squadre. Dal 1920 al 1924 inanellò una serie di ottime prestazioni in varie gare, facendo spesso l’accoppiata (5000 e 10000 ai campionati italiani, Roma 1920, Bologna 1921…) e stabilendo svariati record nazionali in diverse distanze.

Busto Arsizio divenne in quegli anni quasi la capitale italiana dell’atletica, soprattutto di quella femminile. Infatti nel 1923 si tennero i primi Campionati italiani femminili di atletica e su 8 titoli, 7 furono vinti da ragazze di Busto, e un nome su tutte: Maria Piantanida. Nata a Busto nel 1905, eccelleva in molte specialità, antesignana anche nella pallacanestro, tanto che il Palazzetto dello Sport di Busto oggi porta il suo nome. Come atleta della pista fu ai vertici dal 1921 (aveva solo 16 anni) al 1924, campionessa italiana negli 80, negli 83hs, nel lungo, nel peso, nelle staffette 4×75 e 4×100.   

Spesso a Busto Arsizio si svolsero i campionati italiani, dividendosi le gare con Milano.

Nel 1924 Carlo Speroni partecipò alle Olimpiadi di Parigi ma fu un’esperienza deludente, si ritirò sia nei 10000 che nella corsa campestre. La campestre vide il ritiro della maggior parte dei concorrenti, era una giornata caldissima, 36°.

Speroni partecipò alla sua ultima gara, a San Remo, nel 1928. Probabilmente scelse quella gara e quella località perché lì abitava, da qualche anno, Dorando Pietri. Dal ’36 al ’66 fu massaggiatore nella sezione calcio della Società Pro Patria et Libertate di Busto, svolgendo anche altre mansioni. Morì nella sua città nel 1969. Dal 1971 lo stadio di Busto Arsizio porta il suo nome.

Carlo Speroni, la locomotiva di Busto Arsizio.
Carlo Speroni, dominatore dai 5000 alla maratona.
Carlo Speroni, 12 titoli italiani e 49 primati nazionali. Oggi lo stadio di calcio di Busto Arsizio porta il suo nome.
Carlo Speroni corse la sua ultima gara a San Remo nel 1928, forse un omaggio a Dorando Pietri (che lì risiedeva), sfortunato protagonista della maratona di Londra del 1908.
L’incredibile avventura di Dorando Pietri
Maria Piantanida, qui al lancio del peso, atleta polivalente. Oggi il Palazzetto dello Sport di Busto Arsizio è intitolato a lei, è il PalaPiantanida.

5  Corse su strada, atletica e ginnastica

Nel 1903 nasce a Cavaria la Società Ginnastica “Sempre avanti”. L’atletica leggera degli esordi, anche nella nostra zona, è quasi sempre legata ad una Società di ginnastica. Così è ad esempio per la gloriosa e storica Società Varesina di Ginnastica e Scherma, nata a Varese, con gli auspici di Giuseppe Garibaldi, addirittura nel 1878, Varesina che comprendeva anche la pratica dell’atletica leggera.

E proprio dal volume che narra la storia dei cent’anni della Varesina troviamo che nel 1906 alcuni ginnasti parteciparono a corse podistiche: a Casorate Sempione, la Milano-Musocco (km 27), a Sesto San Giovanni, il doppio giro di Busto Arsizio e anche il Campionato varesino di corsa podistica, con vittoria di Giacomo Ambrosetti. Nel 1907 leggiamo di un Campionato italiano di mezzofondo a Roma (3° il varesino Giacomo Ambrosetti), mezzofondo anche a Locarno, a Luino, podismo a Besnate eccetera.

Nel 1913 un varesino di città, Giorgio Croci, nato il 19 aprile del 1893, eguagliò il primato italiano nei 100 metri con 11” netti. Partecipò anche alle Olimpiadi di Anversa nel 1920 ma venne eliminato in batteria.

Nel 1914, un anno dopo la nascita della IAAF (International Amateur Athletic Federation), organizzata dalla ‘Sempre avanti’, nacque una delle prime e più longeve gare podistiche della nostra provincia, il ‘Cross-country dei 7 campanili’, competizione ancor oggi in programma. L’idea dei 7 campanili, corrispondenti ai sette paesi nelle vicinanze di Cavaria (Cavaria, Santo Stefano, Oggiona, Orago, Jerago, Premezzo e Cajello di Gallarate) nacque per la necessità di dover predisporre punti di controllo. La prima edizione fu vinta da Carlo Martinenghi. Non è dato sapere se vi prese parte anche Carlo Speroni, alla prima o alle successive; verrebbe una risposta affermativa, ma purtroppo abbiamo a disposizione solo la classifica della prima edizione, e le altre solo dagli anni Ottanta. La corsa acquistò in notorietà soprattutto a partire dall’edizione del 1925. Infatti il 22 febbraio di quell’anno la ‘Domenica del Corriere’ metteva in copertina un disegno di Achille Beltrame, che raffigurava proprio una lunga scalinata compresa nel percorso, uno dei tratti più impegnativi. Nel 1943 il cross-country varesino venne utilizzato per l’assegnazione del titolo italiano, con vittoria di Luigi Pellin. Dal 1983 vi presero parte anche le donne, e da quegli anni aumentò la presenza di atleti d’alto livello. Fra questi il marocchino Lhoussaine Oukhrid, plurivincitore, che dopo aver vinto l’edizione del 2017 venne squalificato per utilizzo di Epo.

Sempre grazie al libro della Varesina sappiamo che nel 1920 si svolse una gara podistica di Km 2 a Biumo Superiore.

Nel 1928, certo ‘sponsorizzata’ dagli ideali fascisti, abbiamo abbondanza di meeting atletici: Coppa Capè a Milano, allo stadio di Masnago, con staffetta 4×100, 1500, 100 e 10 km di marcia (notizia che ci sorprende, perché lo stadio del Littorio è datato 1935, si tratterà di altra struttura preesistente), a Saronno, a Tradate, a Nerviano. 

Nel 1926 era nata la FIDAL, la Federazione italiana di atletica leggera.

Tre anni dopo, nel 1929, abbiamo una notizia ben documentata di una gara di atletica nella città di Varese, diventata provincia nel 1927. La troviamo sul già citato libro ‘I cento anni della Varesina 1878-1978’, testo di pag. 472 che riproponiamo integralmente:

1929: COPPA ‘ENRICO BENZI’ – RIUNIONE DI ATLETICA LEGGERA

Per onorare la memoria del socio Enrico Benzi, un appassionato dell’atletica leggera rapito troppo presto agli affetti della famiglia e alle battaglie sportive, la ‘varesina’ ha organizzato nel 1929 una riunione di atletica leggera mettendo in palio una coppa intitolata appunto ‘Enrico Benzi’. La manifestazione si è svolta il 29 giugno allo stadio delle Bettole con la partecipazione di oltre cento atleti appartenenti a undici società e precisamente ai seguenti sodalizi: Società Varesina di ginnastica e scherma, Isotta Fraschini di Milano, Società ginnastica Forti e Liberi di Monza, Pro Patria di Milano, Gruppo sportivo Dux di Civate, Malnatese di Malnate, Società ginnastica Persevera di Tradate, Società ginnastica Forza e Coraggio di Milano, Gruppo sportivo Breda di Milano, S.S. di Mornago, Società ginnastica Virtus di Gallarate. La vittoria è toccata, unitamente alla Coppa ‘Enrico Benzi’, alla Società di ginnastica Forti e Liberi di Monza. Sulla gara la ‘Cronaca Prealpina’ ha pubblicato la seguente cronaca nel numero del 30 giugno 1929:

“Vogliamo anzitutto essere sinceri con noi stessi e prima di magnificare e segnalare quelle che furono le fasi salienti delle diverse competizioni rileviamo lo scarso intervento di pubblico in una manifestazione che per il modo con cui è stata organizzata e per il suo svolgimento generale anche se un po’ compresso ha però saputo interessare ed entusiasmare come del resto ne fanno fede i risultati conseguiti. L’atletica leggera merita una maggiore attenzione delle folle sportive per poter raggiungere quel progresso e quello sviluppo auspicato. Le gare hanno ottenuto un ottimo successo, maggiore sarebbe stato in linea sportiva se il terreno fosse stato più adatto a competizioni del genere.

Questo è stato l’unico neo della giornata che non è certo imputabile ai bravi e volonterosi organizzatori. Nella nostra città non abbiamo a disposizione una pista podistica ed un campo attrezzato per far svolgere manifestazioni atletiche. Ogni qual volta Enti e sodalizi debbono indire riunioni atletiche, sono obbligati ad usufruire del Campo delle Bettole, con grave dispendio di lavoro per la preparazione, senza poi ottenere i risultati voluti. Sarebbe perciò fervidamente augurabile che si potesse arrivare ad avere nella nostra città il completo assestamento di un terreno anche se di attrezzatura minima.

La Riunione che la Soc. Varesina Ginnastica e Scherma ha organizzato con cura e meticolosità è riuscita importante per il numero notevole di concorrenti e per l’animazione con cui tutte le gare si sono disputate.

Esaminando ogni singolo risultato v’è da trarre dei buoni auspici e sugli elementi che si sono affermati, da Rabolini, il velocista dell’Isotta Fraschini, a Torti, riuscito vincitore dei 1500 metri dopo una lotta con Carozzi e Melodia. Buoni Robecchi, Broggi e Ceriani, Vitelli e Villa, che riuscirono vittoriosi nei salti e nei lanci. Specialmente interessante è stato il finale del salto con l’asta in cui Vitelli si è imposto a Brianzoni dopo una strenua competizione. Lodevole la prova del giovanissimo Farè della Malnatese nella gara di salto in alto. Il varesino Broggi ha voluto forse cimentarsi in troppe gare e il piazzamento ottenuto non è stato perciò conforme al suo valore.

Nelle prove di squadra l’Atletica Malnatese ha vinto la staffetta dopo una gara battagliata sino al traguardo, contro l’Isotta Fraschini di Milano.

La Coppa Benzi è stata appannaggio della ‘Forti e Liberi’ di Monza. Il Sodalizio della Ferrea ha però avuto un avversario difficile nella squadra di Malnate ed il minimissimo distacco fra le due squadre dimostra quanto sia stata incerta ed emotiva la lotta per l’aggiudicazione dell’ambito Trofeo.

Le varie gare hanno potuto avere il loro svolgimento regolare per il preciso lavoro svolto dai dirigenti la Soc. Varesina Ginnastica e Scherma e in special modo per merito di Pirovano infaticabile direttore di gara. Ettore Testa, starter impeccabile, Cattorini, Maineri, Mazzucchelli della Persevera, Parravicini della Virtus di Gallarate, Maiocchi della Varesina, Feltro ottimo segretario assieme a Blandino, Ballerio, Moranzoni ed altri ancora.

Fra le personalità presenti sul campo abbiamo notato con i familiari del defunto ginnasta Benzi il Signor Cav. Cavalli della Federazione Italiana Ginnastica; il sig. Mantegazza Aquilino commissario della Varesina Ginnastica e Scherma, il sig. Guidali, il rag. Guido Bergamo della Persevera e numerosi dirigenti delle Società concorrenti. Ha prestato ininterrotto servizio sul campo la musica della Militari in Congedo.”

Come si evince dalla cronaca di questo evento, le gare di atletica (e così le partite del Varese calcio) si disputavano sul grande prato delle Bettole, oggi sede dell’ippodromo. La svolta avviene nel 1935, quando un lascito al Comune di Varese dell’avvocato Bolchini permette la progettazione di un nuovo impianto sportivo, utile al calcio, alla nascente atletica e al ciclismo. Il 3 gennaio del 1935 l’Ufficio Tecnico del Comune presenta un progetto che prevede un campo da calcio 105×65, pista di corsa a piedi di metri 400 a 5 corsie, pista ciclistica di metri 450, più un parcheggio di 11.000 metriquadrati. I lavori sono affidati all’impresa De Grandi. L’8 dicembre del 1935 il Varese calcio gioca la sua prima partita in quello che è chiamato Stadio del Littorio e che diventerà, dopo la tragedia di Superga, stadio ‘Franco Ossola’. Anche l’atletica leggera varesina ora ha un suo impianto.    

Tornando alle gare di atletica o simili, nel 1930 sappiamo di una marcia alpina di regolarità di km 35, dove ben figurano il noto giornalista Fulvio Campiotti e il bravo ginnasta Pierino Sottocasa.

Nel 1931 ecco a Milano una gara internazionale sui 100 km di marcia.

Nel 1932, nel campo sportivo di Induno Olona, ecco una gara di atletica per allievi, la ‘Coppa Aristide Allegri’.

Nel 1935 Renzo Cova, nato l’11 aprile del 1916 a Somma Lombardo, riuscì a correre i 100 metri in 10”9 e saltare in lungo m 6.95.

Molto interessante nel 1938. Leggiamo del campionato provinciale di atletica femminile, disputatosi a Malnate, con le seguenti gare: 60-100-800-4×100-peso-giavellotto-lungo-alto.

Stando al libro della ‘Varesina’, seguono anni senza atletica e poi la guerra. Nel 1948 abbiamo una riunione di atletica per non tesserati ‘Sfera d’argento’ a Gavirate, e un Palio podistico notturno di Varese; nel secondo caso si tratta con buona probabilità della prima edizione del Trofeo Martiri Caduti Biumensini, organizzato dalla Biumense, gloriosa società di Biumo Inferiore alla quale dedicheremo un apposito capitolo.

La Varesina si concentra maggiormente sulla ginnastica, con spazio al sollevamento pesi e alla scherma. Ma nel 1949 sappiamo che nella gara di ginnastica ‘Trofeo Capella’ di Firenze vi era senz’altro la corsa di velocità, come si deduce da questa foto, che ritrae ginnasti della Varesina (in testa Mario Zanzi) sulla pista di atletica, con scarpette leggere da ginnastica artistica.  

Siamo a Casbeno, qui si giocava a calcio prima del 1935, si nota anche una pista di atletica leggera.
1935: viene inaugurato lo Stadio del Littorio a Masnago, che verrà intitolato a Franco Ossola dopo la tragedia di Superga.
1937 circa: gara provinciale sui 3000 metri, molto probabilmente allo stadio del Littorio di Masnago, con vittoria di Ernesto Malnati.
1938: Campionato provinciale femminile di atletica leggera a Malnate.
22 febbraio 1925: la Domenica del Corriere mette in copertina, con disegno di Achille
                                             Beltrame, la famosa scalinata inserita nella marcia dei Sette Campanili di Cavaria, storica corsa podistica della nostra provincia.
1949: Trofeo Capella allo stadio di Firenze, tre atleti della Società Varesina di Ginnastica e Scherma disputano una corsa di velocità. In testa il varesino Mario Zanzi, classe 1926.
 

6 L’Atletica Biumense e la Gallaratese

Non è dato sapere con certezza la data di fondazione della Biumense, storica società che diede impulso soprattutto all’atletica leggera, nata a Biumo Inferiore probabilmente subito dopo la guerra, grazie all’entusiasmo di Alfredo Broggini, dell’allenatore Giovanni Bellorini e di altri appassionati. Broggini era un artigiano del viale Belforte, un lattoniere che aveva una piccola ditta e una grande passione per lo sport in generale, per l’atletica in particolare. Non sappiamo se fosse un atleta praticante, sappiamo con certezza che fu lui a dare l’anima per la Biumense. Era un uomo buono, tranquillo, che non si dava arie di capo e aveva l’atletica nel cuore.

I consiglieri si trovavano in una saletta del bar XXVI Maggio, fra via Cairoli e via Garibaldi, a Biumo Inferiore, dove oggi sorge il palazzo del sole. E senz’altro lì sarà nata l’idea di organizzare una corsa podistica (come si usava allora), unendo corsa e marcia e invitando grandi nomi. Si sa con buona probabilità che la prima edizione del Trofeo Martiri Caduti biumensini si disputò nel 1948. Abbiamo un numero del Bivacco che ci aiuta nella ricostruzione, perché in un articolo leggiamo che il 27 settembre del 1959 si svolse la XII edizione del Trofeo (da qui risaliamo al 1948 come data della prima edizione), una foto mostra i due marciatori inglesi Ken Matthews (vincerà l’oro nella 20 km di marcia alle Olimpiadi di Tokio 5 anni dopo) e Stanley Vickers (arriverà terzo nella 20 km alle Olimpiadi di Roma del 1960, con ricovero in ospedale per eccesso di fatica) che marciano appaiati nei pressi della chiesa della Madonnina in prato, seguiti da una bicicletta del servizio d’ordine e da un altro addetto in Vespa, uno dei primi modelli. Sappiamo anche che tale Trofeo, capace di radunare a Biumo centinaia e centinaia di spettatori, vide le gesta di atleti olimpionici quali i marciatori Pino Dordoni (oro nella 50 km di marcia alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952) e Abdon Pamich, bronzo a Roma 1960 e oro a Tokio nel 1964 (sempre nella 50 km di marcia), oppure di grandi fondisti come Antonio Ambu, classe 1936, cagliaritano, per 34 volte campione italiano dai 5000 alla maratona.

Chi ha assistito a questo Trofeo ricorda la folla e l’intenso profumo dell’olio canforato o di altri unguenti, che gli atleti utilizzavano in fase di riscaldamento.

Due foto d’epoca, tratte da un numero speciale de ‘Il Bivacco’, periodico dell’oratorio ‘Molina’ di Biumo Inferiore, che mostra il grande entusiasmo per la XII Edizione Trofeo Caduti Biumensini, 27 settembre 1959.

Benché il nostro intento sia quello di narrare le gesta dell’atletica leggera di Varese città e immediate vicinanze, non di tutta la provincia (compito che sarebbe eccessivo), non possiamo tacere che nell’immediato dopoguerra il sud della provincia batté il capoluogo in quanto a risultati, ad eccellenze e a prestigio societario, senza nulla togliere alla Biumense. Come già letto, anche gli esordi del Novecento vedono la pianura battere le Prealpi, con personaggi quali l’Airoldi, lo Speroni, la Piantanida e società come la Pro Patria et Libertate di Busto Arsizio e come la Società Ginnastica Gallaratese. E quindi non possiamo non fare almeno un cenno proprio alla Gallaratese, la società con la grande G sul petto che, con il presidente Testa, dal 1949 al 1954 vinse per sei anni di fila il campionato italiano di società. Il segreto? Grazie probabilmente ad abbondanza di danaro, Testa comprava atleti da ogni parte d’Italia, componendo così uno squadrone imbattibile. Ma tre velocisti erano varesini, anche se in forza alla Gallaratese e non alla Biumense. Facciamo riferimento a Gino Riva (Varese, 4.12.1923), 10”8 nei 100, Angelo Moretti (Venegono Inferiore, 16.8.1925), 10”8 nei 100 e 21”6 nei 200 e Giuseppe Guzzi (Varese, 19.3.1927), 10”8 nei 100. I tre facevano parte della staffetta 4×100 che arrivò sesta ai Campionati europei di Bruxelles nel 1950.

Fra gli atleti della Gallaratese di quegli anni un posto di riguardo spetta ad Ottavio Missoni. Era nato in Dalmazia, a Ragusa, nel 1921, una grande passione per l’atletica e ottimi risultati già a 16 anni, soprattutto nel giro di pista, con o senza ostacoli. Arrivato a Varese per matrimonio e lavoro, subito ingaggiato fra i ragazzi di Testa, arrivò sesto nei 400hs alle Olimpiadi di Londra del 1948. Infine un cenno al varesino Sandro Stocchetti, segretario del Panathlon Club Varese per decenni, compagno di squadra di Missoni alla Gallaratese. Era un ottimo lanciatore di disco ma purtroppo arrivava sempre quarto in Italia, medaglia di legno, perché avanti a lui aveva un mostro sacro come Adolfo Consolini (oro a Londra nel 1948), e poi Giorgio Oberwerger e Carlo Tosi.

Il 14 gennaio del 1933 nasce a Gallarate Luigi Gnocchi detto Gigi, grande talento della velocità. Nel 1956 eguaglierà il primato italiano dei 100 metri in 10”4. Sarà campione italiano dei 100 per tre anni di fila (54-55-56) e due volte campione dei 200 (55 e 56), sempre in maglia Gallaratese.

Ma torniamo a Varese e alla Biumense. Fra i ragazzini confusi nella folla delle prime edizioni del Trofeo Martiri Caduti Biumensini abbiamo ragione di credere che vi fosse Giovanni Bellorini, nato a Varese nel 1936. Ragazzo stravagante e curioso, entusiasta e umorale, fu tra i primi (se non il primo in città) a diplomarsi a Roma all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, e fu tra i primi e più attivi allenatori della Biumense degli anni Sessanta e Settanta, oltre che docente di educazione fisica negli Istituti superiori e sportivo polivalente.

Risalendo alle origini della Atletica Biumense, tornano spesso quattro nomi. Il presidente Renzo Capanna, Alfredo Broggini, l’allenatore Gianni Bellorini e Alessandro Frè. I primi tre sono morti, riesco però a parlare con Frè, che volentieri torna a quegli anni memorabili, gli anni della sua giovinezza. Alessandro è del 1937, un anno più giovane di Bellorini, abita a Laveno, ama l’atletica, si distingue nel salto in lungo e nella velocità. Nel 1954 salta 6.74 in lungo e corre i 100 in 10”9. Sarà campione lombardo nel lungo e vicecampione nella velocità, parteciperà più volte alla Pasqua dell’Atleta, sarà tesserato per la Biumense, per la Pro Patria San Pellegrino di Milano e per la Società dei tranvieri milanesi. Sarà allenato anche lui da Bresciani. “Era un tipo particolare” ricorda oggi Frè. “Se gli dicevi che ti faceva male qualcosa, rispondeva sempre che non era niente, di non pensarci e di andare avanti. Mi allenavo un paio di volte la settimana allo stadio di Masnago e poi a Laveno, facevo le ripetute sui prati.”

Alessandro ha un fratello, Mario, classe 1949. Anche lui pratica atletica, emerge nelle prove multiple. “Ho cominciato a fare il factotum alla Biumense proprio per seguire mio fratello” racconta Frè. “Capanna era il presidente, dava alla Società 250.000 lire all’anno, ma chi davvero si dava da fare era Alfredo Broggini. Era lui che pagava di tasca propria magari le trasferte. Era una bravissima persona. Ricordo in particolare alcuni risultati importanti, oltre alla marcia Trofeo Caduti Biumensini. Alla fine degli anni Sessanta avevamo una formidabile staffetta 3×400: Cadonà, Rossetti, Marchiori, tre ragazzi che correvano il giro di pista sui 50”, Marchiori anche meno. Siamo diventati Campioni lombardi, con il record italiano, e poi a Formia abbiamo vinto i Campionati italiani, migliorando ancora il record. Sono stato compagno di classe di Bellorini a ragioneria, in 3^, 4^, e 5^. I primi due anni li ho frequentati a Milano. Lo rivedo ancora guidare la sua 2Cavalli, dove ci metteva di tutto, anche un urìnari, oppure fare il bagno nella fontana di piazza Monte Grappa, o andare con gli sci da fondo in centro a Varese. E poi Bruno Pinzin: non so come abbia fatto a portare avanti l’atletica a Varese in tutti questi anni, a trovare gli sponsor. Andava sempre a finire così ai tempi della Biumense: noi non potevamo dare nulla agli atleti, così si facevano avanti le Società più grandi, la Gallaratese, la Pro Patria. Per Angelo Groppelli la Riccardi di Milano offrì un milione al mese, avevano bisogno di un pesista per i Campionati di Società, Angelo accettò. Groppelli era un grande atleta, andava forte nel decathlon poi ha scelto il peso e si è molto irrobustito.”

Da Alessandro Frè abbiamo una versione della fine della Biumense: “Agli inizi degli anni Settanta la Pro Patria San Pellegrino di Milano si fece avanti, i migliori atleti di Varese scelsero di tesserarsi per quella società, io divenne dirigente della Pro Patria per la provincia di Varese, Massimo Begnis l’allenatore, sempre per la nostra provincia. In città nacque la Nuova Atletica Varese di Bruno Pinzin.” 

Fra i primi futuri campioni ad essere avviati all’atletica da Gianni Bellorini alla Biumense abbiamo senz’altro il varesino Ippolito Giani detto Ito. Classe 1941, solo 5 anni meno di Bellorini, Giani scopre l’atletica grazie al suo prof. di ginnastica della terza liceo scientifico, tale Giuseppe Braida. Ci sono le provinciali dei Giochi della Gioventù, sugli 80 metri vince Ito in 9”1. Braida invita Giani alla Biumense, lì ecco l’incontro con Bellorini e i primi allenamenti. Siamo a metà degli anni Cinquanta, Bellorini è chiamato al servizio militare, ed ecco entrare in scena un altro grande allenatore, Angelo Ezio Bresciani, per qualche anno residente a Sant’Ambrogio Olona e poi a Gallarate. Giani incontra così l’ambiente della Gallaratese, inizia allenamenti pesanti, tanta forza di volontà e nel 1963 ecco i primi risultati, 10”6 nei 100 e l’anno successivo Giani e alle Olimpiadi di Tokio. Purtroppo trova in batteria Bob Hayes (vincerà la finale), arriva terzo ed è eliminato. Inizia per il varesino la vita da atleta, sempre a Formia oppure sull’Altopiano di Asiago, allenatori come il mitico Alessandro Calvesi, ci si prepara per Città del Messico. Il 1967 è l’anno di grazia per Ippolito detto Ito, due bronzi nei 100 e nei 200 alle Universiadi, 20”9 nei 200 alle preolimpiche di Città del Messico, 10”4 nei 100 più volte ripetuti, record italiano della 4×100 in 39”2 con Ottolina, Preatoni e Berruti. Nel luglio del 1967, ai Campionati italiani di Bologna, batterà sui 200 Livio Berruti. Ma la fortuna si gira dall’altra parte. Iniziano gli infortuni, Giani è alle Olimpiadi sudamericane del 1968 ma i risultati non arrivano, già si pensa a Monaco 1972 quando nel 1969 il velocista, in sella alla Laverda 750, cade proprio nella sua Sant’Ambrogio, vicino a casa. Sei giorni in coma, la vita è salva ma la carriera è finita.

Al pari di Giovanni Bellorini detto Gianni, il nome di Angelo Enzo Bresciani appare spesso, tornando con la memoria all’atletica varesina. Faceva la spola fra Varese e Gallarate. Con una vista sempre più precaria, spesso accompagnato da qualcuno che lo aiutava lungo la via, aveva però un grande ‘naso’ nel fiutare i talenti, convincendoli ad allenarsi nella vicina Gallarate, probabilmente anche con incentivazioni economiche, aiuti che l’ambiente della Biumense non poteva garantire. Bresciani non era uno specialista di un settore, era competente un po’ in tutto.

Vanno di moda le corse campestri, il mezzofondo prolungato. Negli anni Cinquanta Varese ha soprattutto due nomi in questa specialità. Uno è Giovanni Artaria (Varese, 26 ottobre 1931) che nel 1956 bloccò il cronometro, nei 10.000, sul tempo di 32’56”6. L’altro è quello di Pietro Cattaneo (Varese, 28 aprile 1936), meritevole della nazionale juniores e poi stimato prof. di ginnastica per decenni alla Scuola Europea del Montello, a Varese.

Artaria e Catteneo precedono di qualche anno un gruppo di varesini che, proprio nel mezzofondo, raggiungeranno primati nazionali.

Ma l’atletica varesina non è fatta solo di campioni, di eccellenze. Una storia un minimo completa non può non tener conto dell’atletica nel suo complesso, cioè anche di tutto il corpo dell’iceberg che sta sotto il pelo dell’acqua, che non raggiunge la luce del successo pieno ma che costituisce la percentuale di gran lunga maggiore del movimento sportivo che tanto ci è caro. Ecco allora un piccolo inciso per menzionare un atleta, che in fondo ne rappresenta tanti altri, testimone del periodo che stiamo ricordando. Parliamo di Enrico Rossi. Classe 1946, abita a Biumo Inferiore, gareggerà per la Biumense negli anni Sessanta, una decina d’anni, lancio del disco, con prestazioni intorno ai 45 metri, allenato da Giovanni Bellorini. Alterna gli allenamenti, un po’ al ‘Franco Ossola’ un po’ in un prato vicino a casa.

Torniamo al mezzofondo. Nel 1942 nasce a Varese Massimo Begnis. Frequenta la ragioneria quando il suo prof. di ginnastica, Franchi, lo invita a partecipare ad una corsa campestre. Si mette in luce e non sfugge all’attenzione di Bresciani, spesso organizzatore di corse campestri. Senza passare per la Biumense, Begnis va direttamente alla Gallaratese, allenato da Bresciani. Presto segna un 3’17”1 nei 1200 metri. A 23 anni, il 14 agosto del 1965, a Celje (ora in Slovenia) stabilisce il primato italiano dei 3000 siepi in 8’52”8. Così Begnis ricorda quel periodo:

“L’atletica era ancora pionieristica. Si seguiva il metodo dei neozelandesi. Alle Olimpiadi di Roma del 1960 i neozelandesi Peter Snell e Murray Halberg avevano vinto rispettivamente gli 800 e i 5000. Li allenava Arthur Lydiard, un neozelandese che proponeva di correre in allenamento 100 miglia alla settimana. Bordin e Baldini faranno molto di più, anche 300 km la settimana. Si correva con ai piedi le Superga, al massimo le prime Adidas o le Puma, non certo con le scarpe di adesso. Enzo Bresciani si vedeva una volta alla settimana, ci seguiva in motorino, aveva gli occhiali con le doppie lenti, problemi di vista.”

Massimo Begnis dalla Gallaratese passerà poi alla Pro Patria di Milano e, sebbene senza infortuni, concluderà la carriera a soli 29 anni.

“Allora a 29 anni si era vecchi” ricorda con rammarico. “E pensare che proprio a 29 anni partecipai ad una corsa campestre di 6 km, in pratica un campionato del mondo, e arrivai secondo, battuto solo da Gianni Del Buono, superando atleti come Roberto Gervasini e Francesco Arese.”

Begnis riprenderà a 35 anni, togliendosi la soddisfazione di battere suoi allievi, accreditati di 2 ore e 20’ nella maratona.

Il siepista varesino ha fatto riferimento alle prime Adidas e Puma. In effetti le scarpe nate in Germania fra le due guerre mondiali, le Adidas che utilizzò lo statunitense Jesse Owens (4 ori alle Olimpiadi di Berlino del 1936) arrivarono in Italia a metà degli anni Sessanta. Interessante a tale proposito il film ‘Adidas vs Puma – Due fratelli in guerra’, la storia dei fratelli Adolf e Rudolf Dassler, insieme nella nascente Adidas e poi separati, con Rudolf che fondò la Puma.

In questi anni è difficile trovare nell’elenco delle migliori prestazioni nazionali un nome di ragazza della nostra provincia. Fa eccezione Armida Guzzetti, nata ad Uboldo il 19 luglio del 1941, 13 volte in nazionale, campionessa italiana dei 400 nel 1970 in 55”7.

Jesse Owens, 4 ori alle Olimpiadi di Berlino del 1936, tra i primi a calzare chiodate Adidas.
Foto storica per la Biumense. Intorno allo stesso tavolo abbiamo Alfredo Broggini (primo a destra, seduto), in piedi dietro a lui Giovanni Bellorini, poi Alessandro Frè (magro, con la cravatta) e due atleti, iscritti al Trofeo Martiri Caduti Biumensini. Foto della fine anni Cinquanta.
Edizione verosimilmente del 1959 del Trofeo Martiri Caduti Biumensini. Passaggio di un marciatore da via Garibaldi.
Ottavio Missioni, sesto alle Olimpiadi di Londra del 1948 nei 400 ostacoli.
Ottavio Missoni in maglia Gallaratese, durante una staffetta 4×400.
Ippolito Giani detto Ito, al ‘Franco Ossola’ durante una staffetta. Siamo a metà degli anni Sessanta, Giani è con la maglia della nazionale.
Massimo Begnis, primatista italiano nei 3000 siepi.
L’articolo del quotidiano La Prealpina, scritto da Alessandro Frè, che ricorda l’impresa dei tre quattrocentisti della Biumense (Cadonà, Rossetti, Marchiori), campioni italiani ‘allievi’ nella staffetta 3×400.
18 ottobre 1970, Formia – La staffetta 3×400 della Biumense vince il titolo (con record italiano) ‘allievi’. In foto anche Alessandro Frè.
18 ottobre 1970, Formia – Non può mancare il coach Gianni Bellorini, nel giorno dell’impresa dei tre moschettieri della Biumense.
Pino Dordoni, oro olimpico ad Helsinki 1952 nella 50 km di marcia, presente al Trofeo Martiri Caduti Biumensini.

7 – Groppelli, Pinzin, Gervasini, Bronzi, Cantoreggi e tanti altri

Angelo Groppelli nasce a Varese il 12 luglio del 1946. E’ alto, fisicamente potente, ama lo sport. Incontra Gianni Bellorini, che saprà trovare le parole adatte per convincerlo a praticare l’atletica leggera. Dato il fisico comincia con il lancio del disco, ma quando la misura s’allunga lo stadio di Masnago non è più adatto, manca la gabbia di protezione e con i calciatori e i ciclisti che si allenano tutto si complica. Così Angelo passa al getto del peso, sempre allenato da Bellorini, gioiello della Biumense che se lo coccola. Nel giro di quattro anni, dal 1974 al 1978, migliora 4 volte il primato italiano, passando da 19.02 a 19.78 (il suo record personale si fisserà in 20.03). 28 presenze in nazionale, tante volte campione italiano. Sarà lo stesso prof. Bellorini, inizi anni Settanta, ad invitare Groppelli a cambiare società, per poter progredire nei suoi risultati, ammettendo che a Varese non avrebbe potuto migliorare oltre. Ecco allora che il pesista diventa atleta di punta della Riccardi di Milano. Nel 1975 lo vediamo già Campione italiano in maglia Riccardi. In un’intervista rilasciata alla rivista ‘Sul Sagrato’ nella primavera del ’96, Angelo Groppelli ripercorre il suo cammino di atleta: “Ho smesso nel 1981, dopo oltre dieci anni di carriera, perché tanti infortuni sommati non mi permettevano più di essere competitivo. E poi nel 1980 è arrivato Alessandro Andrei che era un gradino sopra tutti gli altri.” Groppelli si lascia poi andare ad una dichiarazione amara: “Devo dire che Varese ha sempre trascurato l’atletica e gli atleti. A questo proposito voglio raccontare un particolare che mi sembra significativo. Nel campo dell’atletica leggera viene dato, a chi si è particolarmente distinto, un riconoscimento speciale: una targhetta con una, due o tre palme, le famose ‘palme d’oro’. A me hanno dato la medaglietta con due palme d’oro. Ecco come si è svolta la mia premiazione: stavo tranquillamente scrivendo il registro di classe (allora insegnavo al liceo scientifico) quando è passata la figlia del delegato provinciale del CONI che mi ha detto – Professore, questa è per lei – e mi ha messo lì la spilla. Questo è stato il riconoscimento di Varese nei miei confronti. E molti altri atleti hanno avuto la stessa sorte: Gervasini, Bronzi, Begnis…E pensare che a Milano (quando facevo parte della Società Riccardi) mi hanno premiato per parecchi anni, persino un Ambrogino d’oro.”

Nel 1955 arriva a Varese, profugo istriano, Bruno Pinzin. Ha otto anni. La prima esperienza d’atleta la vive quando frequenta la seconda ragioneria, a sedici anni. Il suo prof. di ginnastica, Franchi, lo convince a partecipare ad una corsa campestre in programma nel pomeriggio, su un percorso che si snoda fra la zona dello stadio ‘Franco Ossola’, il Tiro a segno e il Montello. Deve trattarsi molto probabilmente della fase comunale dei Campionati studenteschi. Bruno non è per niente allenato, sua madre gli prepara a mezzogiorno un fumante minestrone, per rinforzarlo in vista della corsa. Pinzin lo mangia, confidando nella ricetta d’altri tempi. Bruno parte a razzo, nessuno riesce a raggiungerlo salvo un ragazzo, che lo supera non lontano dal traguardo: si tratta di Roberto Gervasini, suo coetaneo, classe 1947, studente dell’Itis. Naturalmente il giovane Pinzin vomiterà il minestrone, questo il suo battesimo atletico. Ama soprattutto il salto con l’asta e allora dà inizio ad allenamenti casalinghi, con un lungo ramo e un prato a Masnago. Poi decide di fare sul serio e si iscrive alla Gallaratese, dove sa che un giovane salta oltre 4 metri. Da lì passerà alla Biumense dove incontra Gianni Bellorini, suo primo allenatore. Nell’asta arriverà a 3.40, poi si cimenta anche nel decathlon, restando sotto i 5000 punti. Decide di frequentare l’Isef. Al secondo anno Isef, siamo agli esordi degli anni Settanta, qualcosa non va alla Biumense, forse Bellorini non riesce più a seguire gli atleti, comincia ad interessarsi del nascente sci nordico, Luigi Brugnoni, secondo ai Campionati italiani junior all’Arena di Milano nei 1500 con 3’56”4, atleta della Biumense decide di smettere. Pinzin si offre come allenatore: è l’esordio in quello che sarà il suo ruolo di allenatore storico dell’atletica varesina, preparatore di generazioni di atleti. Consigliato da Bellorini, Pinzin va a militare come allenatore al Centro sportivo dell’esercito, torna nel 1972 e diventa lui il punto di riferimento tecnico alla Biumense. Bellorini nel 1975 fonderà a Brinzio lo Sci Nordico Varese.

Sono anni difficili e insieme entusiasmanti. Non è facile la convivenza, nello stadio di Masnago, fra atletica, calcio e ciclismo. I podisti vengono continuamente accusati di rovinare il prato a bordocampo, quando è evidente che il prato è rovinato a causa delle corse con scarpe bullonate, avanti e indietro, dei guardalinee. Ci sono difficoltà economiche, non è facile trovare gli sponsor, Giovanni Borghi, generoso mecenate dello sport varesino, trascura l’atletica leggera. “E poi” racconta oggi Pinzin “allora soprattutto nell’atletica la mentalità era diversa, avere lo sponsor era come macchiare la maglia.”

I migliori atleti vengono assorbiti da altre società. E’ il caso ad esempio di quel ragazzo del ’47 che abbiamo lasciato, festante e vincitore, alla campestre d’esordio di Bruno Pinzin: Roberto Gervasini detto Bobo. 

Gervasini è del 1947, come Pinzin. Abita dalle parti del viale Aguggiari, gioca sui prati che allora occupavano lo spazio dell’attuale Caserma dei Vigili del Fuoco: due porte, un pallone e via. Frequenta l’Itis, ogni tanto il prof. di ginnastica, tale Gaspare Centonfe, lo invita ad andare ad allenarsi nella corsa, lui e l’amico Pietro Tallone (futuro arbitro internazionale di basket). Durante una lezione fa freddo, voglia di correre poca, i due si infilano al Circolo di Casbeno a giocare a boccette. Malauguratamente arriva anche il prof. Centonfe a comprare le sigarette (si noti, tutto nell’ora di ginnastica!). Li scopre e li punisce, obbligandoli a correre una corsa campestre, in programma un sabato sui prati non lontani dall’Itis, dove oggi sorge il supermercato Coop; in caso contrario, l’esame a settembre di ginnastica era assicurato. Corre anche Giovanni Bossi, un ragazzo che è dato per favorito. Roberto lo segue e lo batte nel finale: vince a braccia alzate. Ad assistere alla campestre c’è Massimo Begnis, contatta il giovane e lo convince a correre la finale regionale della campestre ‘allievi’ a Cernusco Lombardone, con il tesserino di un altro, un certo Redaelli. Gervasini corre e arriva secondo. Il talento c’è, non ci vuole molto ad accorgersene. Begnis porta Gervasini alla Gallaratese. Iniziano gli allenamenti seri, Ottavio Missoni è presidente alla Gallaratese, Angelo Ezio Bresciani allenatore.

Il 26 settembre del 1966, a Odessa (Ucraina) Roberto diventa Campione europeo juniores nei 1500 metri: è la prima edizione degli Europei per questa categoria giovanile. L’8 ottobre di quell’anno memorabile per lui, in un incontro under 21 Italia-Urss vince sia gli 800 che i 1500. “Ero in una forma strepitosa” ricorda oggi Gervasini. “Al mio arrivo dopo la gara mi presero i battiti alla carotide: 220 pulsazioni al minuto!”

Hanno inizio dieci anni di intensa attività agonistica, due volte campione italiano indoor sui 1500, nel 1970 (3’50”2) e nel 1975 (3’50”8). Il 24 luglio del ’74, a Torino, Gervasini stabilisce il suo personale sui 1500: 3’39”7. Sfiora la partecipazione alle Olimpiadi di Monaco ’72: il limite di ammissione è 3’42”, lui quell’anno corre in 3’43”7. Nel 1975 un grave infortunio: rottura del tendine d’Achille. Tenta di tornare in gara ma nel 1976 è costretto al ritiro.

“Avrei dovuto essere dieci centimetri più alto” ricorda oggi Gervasini ripensando alla sua brillante carriera di sportivo. “Avevo il motore per i 1500 ma non il fisico, mentre avrei avuto il fisico per i 5000 o i 10000 ma non avevo il motore. Sui 5000 avevo un 13’58”. Ho trovato sulla mia strada Franco Arese, un grande campione.”

Gervasini, dotato di autoironia, gran parlatore, ricorda aneddoti a raffica: “Tutti conoscono Alberto Cova, grande atleta, vincitore di un oro alle Olimpiadi di Los Angeles. Ebbene, in una delle mie ultime corse campestri correva anche Alberto, ma nella categoria juniores. Vide la mia vittoria a braccia alzate. Anni dopo mi confidò che in quella circostanza pensò che avrebbe voluto imitarmi, essere bravo come me: non solo mi ha eguagliato ma mi ha superato nettamente, un fisico e un motore perfetti per i 5000 e i 10000.”

Con Gervasini correva spesso un maratoneta di Montegrino Valtravaglia, classe 1937, 4 volte in nazionale nel cross e nella maratona: Osvaldo Segrada detto Tino.

Di Segrada abbiamo un bel ritratto grazie a Fernando De Maria, maratoneta a sua volta, del quale parleremo più avanti. Atleta ma anche narratore, De Maria scrisse nel luglio del 1975 questo pezzo sull’amico Tino, apparso sul quotidiano La Prealpina: “In un mondo in cui il volto dello sport assume sempre più i contorni dell’interesse esistono fortunatamente ancora atleti esemplari, la cui passione e volontà non possono che piacevolmente colpirci. Oggi parliamo di atletica, cioè di quella ramificazione dello sport che elevando a livello nazionale un grappolo di atleti varesini, ci sprona a scrivere di Osvaldo ‘Tino’ Segrada, un atleta che unitamente a Groppelli, Gervasini, Bronzi e Cantoreggi, può essere considerato sul piano sportivo ed umano, un valido esempio, per la gioventù di oggi costantemente alla ricerca di nuovi ideali.

Il campione montegrinese iniziò a correre per gioco quando, durante il servizio militare, sognava insieme a Spandri qualche licenza premio, allenandosi per le consuete gare di brigata. Era quello il tempo in cui l’amico di Ispra mieteva successi a non finire mentre lui, nonostante la volontà, doveva come in seguito (ai Campionati italiani in cui ebbe a lottare con Ambu) accontentarsi delle piazze d’onore. Ultimata la naia si sentì un po’ spaesato, o forse cambiato; fu così che si affezionò alle scarpette, alla maglietta traforata ed alle solitarie galoppate lungo i sentieri che portavano ai monti. Logicamente le prime competizioni con i campioni di allora (si era nel 1959-60-61) coincisero con le prime ‘legnate’, poi quel giovane dalle movenze selvagge, iniziò pazientemente a salire i gradini che lo avrebbero imposto prima ai livelli provinciali, poi regionali ed infine nazionali dove, oltre che nel cross, doveva indossare la maglietta azzurra anche nella maratona. Dal 1965 al 1969 ha dato il meglio di sé: scrivere delle sue vittorie sarebbe un’impresa ardua tante sono state. Tino, nella casetta sommersa nel verde di Montegrino, oltre ai trofei, ospita un’abbondante raccolta di foto che nelle serate vuote lo legano ancora a giorni di sole, a volti lontani o a corse all’ultimo sangue disputate in compagnia di Ambu, Conti, Volpi, Moroni, Begnis e tutti quei campioni del passato che nel suo cuore di bambino hanno col tempo ricamato un sorriso. Nonostante i suoi trentotto anni Segrada rimane il più valido podista varesino per le gare su strada: dopo averne fornito alcuni esempi vincendo incontrastato le due edizioni della ‘Stravarese’, la Rampegava d’Autunno e il Trofeo De Bernardi a Gavirate, ha recentemente conseguito un brillante piazzamento nella ‘Cinque mulini’ e, proprio la scorsa domenica, un caparbio secondo posto alle spalle del nazionale Ambrosioni, nel giro podistico di Cagno. Terminato il quotidiano lavoro come gruista in un’impresa di costruzione svizzera, dopo aver abbracciato i bambini, Tino al suono dei passi brevi e veloci, ripercorre ogni giorno in allenamento le strade della sua vallata: quella Valcuvia che raccogliendo la fatica dei Coppi, dei Bartali, dei Binda nella sofferenza di antiche Tre Valli, ha plasmato in lui un carattere leale e simpatico che ancor oggi colpisce tutti, anche quelli che campioni non sono.

Per la sua predilezione per le gare in salita, qualcuno anni fa lo aveva soprannominato ‘Re della montagna’; a quel ricordo Segrada sorride ancora dicendo: ‘Non esistono re nel mondo…oggi si sale…’ Forse ha ragione, ma dal tempo mai troppo sfumato degli allori carpiti lungo le tortuose stradelle di Biella, Pettinengo e Trivero gli è rimasta la volontà, la passione, che gli rubano il tempo di pensare al domani.”

Basandosi sulla sua esperienza personale, ma non solo, Gervasini a metà degli anni 80 organizzò un Convegno a Casciago, invitando giornalisti e atleti, dal titolo-quesito provocatorio: ‘Lo sport fa male?’ Roberto ne è convinto: lo sport agonistico fa male, è traumatico, logora il fisico, il solo sport che non fa male è quello che si pratica da seduti. A tanti anni di distanza non ha cambiato parere, ma ricorda commosso i suoi anni da atleta, le sue vittorie, le grandi soddisfazioni che lo sport regala.

Parlando di Gervasini ci viene naturale parlare di un suo amico, Enrico Bronzi. Nasce a Varese il 19 novembre del 1951 e si innamora della pallacanestro, come è abbastanza facile per un varesino. Gioca nella Robur et Fides ma purtroppo, dopo un ottimo inizio, ha una certa involuzione ed è costretto alla panchina. Del resto davanti a lui c’è gente come Rodà, Gergati, Guidali. La panchina scotta, è scomoda ma Enrico resiste. Poi arriva la solita corsa campestre al liceo Scientifico, Bronzi partecipa senza troppa convinzione ma va bene e così si qualifica per la fase successiva, a Gallarate, dove arriva sesto. Ecco allora l’occhio attento di Bobo Gervasini che lo nota, e lo nota ancor di più quando arriva secondo alle finali provinciali di campestre, che si disputavano, siamo nel febbraio del 1969, nei pressi dello stadio di Masnago. Gervasini torna alla carica, Bronzi è sfiduciato per i suoi risultati nel basket e decide di provare con l’atletica. Sempre nei Campionati provinciali studenteschi di quell’anno si cimenta in pista e vince nei 1000 metri, per distacco, con un ottimo 2’37”: è la sua prima vittoria (foto). Stando ai suoi ricordi proprio in quella primavera del 1969 il fondo della pista di atletica del ‘Franco Ossola’ passa dalla terra battuta al Rubcor, un tartan dei poveri, poco più che asfalto. Vittoria nei 1000 e allora Roberto Gervasini porta Bronzi nella cosiddetta ‘Squadra Bresciani’, tesserato per la Pro Patria San Pellegrino di Milano, con Begnis, Arcelli, Gervasini, Cadonà, Cantoreggi eccetera. E qui abbiamo un altro ricordo di quel mitico Ezio Bresciani, già più volte citato, e cioè il ricordo di Enrico, che si appresta a diventare il Marcello Fiasconaro varesino:

“Sono molto legato a Bresciani, quasi un secondo padre per me, essendo fra l’altro del 1911 come mio padre. L’ho conosciuto che era quasi cieco, veniva a camminare in pista perché malato, con già qualche infarto sul groppone, gli avevano consigliato di fare un po’ di movimento. Mi allenava a orecchio, sentiva la mia corsa che giudicava pessima, pesante e niente affatto agile. Del resto chi viene dalla pallacanestro ha questa impostazione di corsa, a piedi piatti. Veniva con il figlio Dodo.”

Bronzi correrà per la Pro Patria sino al 1975, costretto al ritiro per problemi di tendinite, infiammazioni continue.

“Allora” ricorda Enrico “c’era il prof. Arcelli e c’era un medico argentino, il dottor Oliva, che ci faceva delle infiltrazioni sottocutanee ma non risolvevano il problema. Oliva curava anche calciatori di fama. L’unica cosa era il riposo.”

Nella sua carriera non lunga, Bronzi è stato però capace di ottenere nei 1000 un ottimo 2’22”2, poi nella sua specialità d’elezione, gli 800, più volte 1’50”2, anche un 3’47” nei 1500.

“Ero un corridore potente più che agile” ricorda, “un po’ alla Marcello Fiasconaro, mi si passi il paragone eccessivo.” Ma in effetti Bronzi e Fiasconaro si incontrarono in una serata magica all’Arena di Milano, 27 giugno 1973, quella che permise a Fiasconaro di stabilire il record del mondo degli 800 in 1’43”7. In quell’occasione Bronzi corse i 1000, stabilì il suo personale e venne battuto da atleti quali Walker e Dixon, non certo dei comprimari.

E’ stato in finale negli 800 per quattro anni ai Campionati italiani, miglior risultato un quarto posto, fra i vincitori anche Franco Arese. Riserva una volta in nazionale.

Il Marathon Club Varese

Alla fine degli anni Sessanta nasce, sulla spinta del professor Enrico Arcelli, il Marathon Club Varese. Arcelli, medico sportivo, preparatore atletico innovativo, esperto in alimentazione e scrittore di successo (ad esempio del best seller ‘Correre è bello’), capace di correre a 40 anni la maratona sotto le tre ore, immagina il Marathon Club in principio solo come strumento di promozione della cultura sportiva, organizzatore di eventi ed editore di una rivista sulla corsa prolungata, in seguito promuove la nascita di una squadra agonistica maschile, solo dedicata al cross, al mezzofondo e al fondo. Segretario factotum è Alessandro Frè, presidente lo stesso Arcelli e allenatore Massimo Begnis, che già abbiamo conosciuto. Nel 1970 a Varese organizza una prova in pista sull’ora, e viene stabilito il primato nazionale. Nel 1971, a Busto Arsizio, insieme alla Pro Patria et Libertate, è in programma una 25-30 km, sempre con primato nazionale. Il MCV organizza poi quattro maratone nazionali. Nel 1974, quella alla Cassinetta di Biandronno, è valida come titolo nazionale, vince Giuseppe Cindolo in 2 ore, 15’ 41” 8 che è il nuovo primato nazionale.  

Ci aiuta ad avere altre notizie su questo sodalizio Fabio Casa. Fabio è fra i molti alunni dell’Itis di Varese che vengono coinvolti dal prof. Massimo Begnis ed iniziano a correre nel MCV, che ha vari sponsor nel corso degli anni: Belloli, Ergovis, Enervit…Casa nel 1984 inizia a correre come allievo, e stando ai suoi ricordi testimonia che il MCV venne sciolto nel 1987.

“In quegli anni molti varesini erano in grado di correre i 5000 e i 10000 stando sotto i 3 minuti al km, molti correvano la mezza maratona in meno di un’ora e dieci e la maratona sotto le due ora e mezza” ricorda l’atleta, che continuerà la sua carriera in vari gruppi sportivi. Nel 1990 corre i 5000 in 14’38” e i 10000 in 30’31”. Ha un personale sulla mezza maratona di un’ora, 09’ e 26”. A metà degli anni Novanta un brutto infortunio sul lavoro lo obbliga a sospendere l’attività agonistica ma ancora oggi corre e soprattutto cammina, appassionato di nordic walking.

Un altro atleta varesino, classe 1947, che ha iniziato atletica seriamente grazie proprio all’input di Enrico Arcelli è Fernando De Maria. Siamo agli inizi degli anni Settanta, Fernando gioca a calcio ma ama anche correre, partecipa alle tapasciate domenicali, dà sempre il massimo, a volte vince. Allora nei mesi invernali il campionato di calcio veniva sospeso, quindi De Maria aumenta i chilometri di corsa, viene incoraggiato da alcuni amici a partecipare alla Maratona di Monza del 1973. Incredibilmente, senza un allenamento mirato, arriva terzo con un probante 2 ore e 45 minuti. La prestazione non sfugge ad Enrico Arcelli, che lo invita a tesserarsi per la Belloli Marathon Varese. Fernando accetta la sfida. E’ operaio alla IRE, a seconda dei turni di lavoro corre al mattino o al pomeriggio. Si forma un bel gruppo di amici maratoneti: Gianpiero Gorini, Eligio Trombetta, Enrico Mariani, Giovanni Ossola.

“Si correva sul viale delle Cappelle” ricorda oggi Fernando, “sulla Martica, sui sentieri delle nostre Prealpi o allo stadio di Masnago, dove incontravamo i mezzofondisti: Alberto Cadonà, Chicco Cantoreggi, Andrea Bertolini. Ricordo Tino Segrada: era imbattibile nella maratona.”

Ma anche De Maria ha un palmarès di tutto rispetto: 8 anni di agonismo, venti maratone corse, sei volte la maratona di Monza con vittoria nel 1975, battendo proprio l’amico-rivale Gianpiero Gorini, e poi la giornata magica, ai Campionati italiani di maratona a Reggio Emilia, con il personal-best: 2 ore, 22 primi e 59 secondi.

“Ho rischiato anche di andare in nazionale” ricorda. “Non ho mai utilizzato il cronometro, andavo a tutta e basta.”

27 giugno 1993 Fernando De Maria (a destra) in allenamento verso il Sacro Monte con Massimo Lodi detto Max, altro maratoneta di buon livello (3 ore e 9’ di personale), firma autorevole del quotidiano La Prealpina e autore di un libro sulla maratona.
Bogogno, 1979  Vittoria di Fernando De Maria, davanti all’amico Ambrogio Valesi.

E proprio De Maria, atleta amante della scrittura, ci regala un ritratto del suo mentore Arcelli, in un pezzo pubblicato sulla rivista ‘Varese Sport’ del 2 febbraio 1980. Ecco alcuni passaggi.

“…Enrico Arcelli è un uomo fra i più stimati dei nostri sodalizi. Per descrivere almeno in parte la sua carriera sportiva (è stato fra l’altro un ottimo velocista) e medica non bastano poche frasi e nemmeno le riviste che lo hanno reso famoso fra i luminari del calcio, del ciclismo, dell’atletica e del basket, dopo la famiglia le sue aspirazioni più grandi. Nel mondo dell’atletica ha dato senz’altro il meglio di sé: utilissimi ed apprezzati sono i suoi studi sui nuovi metodi di preparazione atti a completare organicamente, fisicamente e psichicamente il soggetto. A questo proposito vale la pena ricordare quali progressi abbiano conseguito negli ultimi anni il mezzofondo e la maratona nel nostro paese. Una prova eloquente ci è stata fornita recentemente dal gruppo Sportivo Ergovis che, grazie ai basilari consigli di Arcelli (coadiuvato da Frè e Begnis) ha raggiunto i vertici nel campionato italiano di corsa lunga, nonostante annoverasse nelle proprie fila atleti modesti provenienti dalle non competitive. Con passione ha tenuto per mano grandi campioni e semplici operai, lasciando un’impronta indelebile in tutti: da Marelli a Gaffuri, da Cindolo a Fava, da Ortis a Magnani, da Accaputo a Peragine, da Gorini a Daverio, per finire agli astri nascenti Marchetta, Meregaglia e Mininni…”

Enrico Arcelli con Eugenio Fascetti, allenatore del Varese calcio, sui prati del Golf Club di Luvinate, dove il professore amava correre.

E’ importante approfondire il periodo fine anni Sessanta, inizi anni Settanta perché non solo è ricco di campioni varesini ma come anticipato porta anche all’avvicendamento, come guida tecnica all’Atletica Biumense, fra Bellorini e Pinzin.

Giovanni Argese detto Giagor, classe 1955, studente alle scuole medie ‘Augusto Righi’ di Varese, ha come prof. di ginnastica Roberto Gervasini. Erano anni di carenza di prof. di educazione fisica, quindi anche gli studenti universitari potevano ottenere una supplenza annuale. E’ il caso di Gervasini, che nota in Argese una predisposizione alla corsa di resistenza e lo invita alla Biumense.

“Alla fine degli anni Sessanta, inizi Settanta ero allenato da Roberto Gervasini e da Enrico Arcelli” ricorda oggi Giagor. “Vedevo Bellorini allo stadio ma non allenava me. Agli inizi degli anni Settanta non c’è stata più la Biumense e noi gareggiavamo per la Belloli Marathon Club Varese, sempre allenati da Gervasini e Arcelli. Nel 1974 ho iniziato a lavorare e ho smesso con lo sport. La mia ultima gara è stata a Napoli, era il tempo del colera, una Maratonina di 20 chilometri.”

Argese ha un personale di 31’58” sui 10.000, la sua specialità.  

E’ del 1955 come Argese anche Giuseppe Gazzotti detto Pippo. Inizia atletica alla Biumense in seconda superiore, siamo nel 1971. Così ricorda quel periodo: “Anche se tesserati per altre società, vedevo allenarsi allo stadio o correre sui nostri sentieri atleti come Roberto Gervasini, Stefano Giani, Enrico Bronzi, Enrico Cantoreggi, Massimo Begnis. Ero allenato da Bellorini ma a volte vedevo arrivare Ezio Bresciani, un personaggio distinto, spesso con un accompagnatore perché non vedeva bene.”

Sui rapporti fra Bellorini e Pinzin Gazzotti non si sbilancia, ma fa capire che con i loro caratteri sarebbe stata non facile una pacifica convivenza. Pur continuando a praticare atletica, Pippo seguirà Gianni Bellorini nello sci da fondo, assistendo alla nascita, nel 1975, dello Sci Nordico Varese.  E’ sempre lui a procurarci un annuario dell’Atletica Biumense 1976/77, molto interessante, ricco di numeri e di nomi. Veniamo a sapere ad esempio che Gazzotti detiene ancora il record della Biumense sui ¾ d’ora, m 12.522 m. stabilito nel 1974. Veniamo a sapere che Massimo Begnis in realtà almeno un anno è stato tesserato per questa società, avendo i primati (stabiliti nel 1969) dei 5000, 10000 e 3000 siepi.

Pippo Gazzotti correrà anche la maratona di New York nel 1981, ottenendo un ottimo 2 ore e 54’. Diplomato ISEF, si è poi dedicato allo sci nordico, diventando allenatore delle squadre nazionali.

Un atleta con qualche anno in più di Argese, nato a Varese il 5 maggio 1952, eccellente soprattutto nei 3000 siepi è stato Enrico Cantoreggi detto Chicco.

Come molti altri in città, Cantoreggi scopre l’atletica grazie al suo prof. di ginnastica ai Geometri, e cioè Caraffa, che lo indirizza da Gianni Bellorini. Vedendolo alto e magro, il prof lo immagina subito buon triplista, o forse in Biumense occorreva un triplista per i Campionati di Società. Chicco parte con entusiasmo, arriva a 11 metri e mezzo, uno strappo al quadricipite femorale lo invoglia a cambiare specialità ma a restare nel mondo dell’atletica. Fisico da gazzella, inizia a correre e ben presto scende sotto i 4 minuti nei 1500. A Varese vi era allora una sede staccata della Pro Patria di Milano, Enrico va in Pro Patria allenato da Massimo Begnis ma nasce nel frattempo la Belloli Marathon Club Varese di Enrico Arcelli. La maggior parte dei corridori si tessera per la nuova società allenata da Massimo Begnis, Luigi Brugnoni resta alla Biumense con Bruno Pinzin, Enrico Cantoreggi opta per la Pro Patria di Milano e viene allenato da Giorgio Rondelli. Gareggerà anche per il Gruppo Sportivo Carabinieri di Bologna. Il 22 luglio del 1975 arriva secondo ai Campionati italiani, battuto solo da Franco Fava, e stabilisce il suo personale sui 3000 siepi, 8’30”6, che resta ancora fra i migliori venti tempi di sempre in Italia. Era anche il minimo olimpico, fissato in 8’32”, quindi Chicco viene iscritto alle Olimpiadi di Montreal. Ma purtroppo come atleta ha due talloni d’Achille, uno è proprio il tendine d’Achille e l’altro è la gola, debolezze che saranno invalidanti soprattutto in una grande occasione.

“Eravamo alla vigilia delle Olimpiadi di Montreal 1976” ricorda oggi Chicco Cantoreggi. “Il mio nome figurava già nell’elenco dei partenti sui 3000 siepi. Si trattava però di confermare il tempo fatto nel 1975, purtroppo però una bronchite in primavera mi ha impedito di arrivare ancora a quei livelli, quindi non sono partito per il Canada e quell’anno l’Italia non ha schierato nessun atleta alle Olimpiadi nei 3000 siepi.”

Cantoreggi riuscirà a vestire 4 volte la maglia azzurra, nel cross e nelle siepi. Vanta anche un ottimo 3’45”6 nei 1500. A 25 anni, però, le ricorrenti tendiniti e le bronchiti lo obbligano ad un prematuro ritiro.

Sempre del 1952 è quel Luigi Brugnoni da Velate che già abbiamo nominato, perché Pinzin iniziò la sua carriera di allenatore proprio con lui.

Brugnoni è al primo anno dei geometri, compagno di classe di Cantoreggi. Vorrebbe fare sport, judo, ma il suo prof. di ginnastica, Caraffa, lo indirizza da Gianni Bellorini, che lo invita alla Biumense. Lo fa correre, subito una prova sui 1000: il tempo è favoloso. Ma Bellorini non si dedica in modo specifico alla preparazione di questo sicuro talento, cosa che invece fa Bruno Pinzin, intuendo che quel ragazzo merita un’attenzione speciale. E Luigi si lega al suo coach, tanto che quando i suoi risultati, soprattutto nei 1500, sono di alto livello e gli propongono di allenarsi per la Pro Patria di Milano, lui accetta a condizione che Pinzin lo possa seguire in Pro Patria. “Non se ne parla nemmeno” gli rispondono. E così Brugnoni rifiuta la proposta. In seguito sarà seguito anche da Massimo Begnis e da Enrico Arcelli, un brutto dolore ai gemelli condizionerà i suoi risultati, e le eccellenti prestazioni ottenute da Brugnoni a diciassette anni non si concretizzano. Luigi sarà comunque in grado, a quarant’anni, di correre la Maratona di New York in 2 ore e 36’, e anche attualmente continua ad allenarsi.

Nel 1954 nasce a Varese Stefano Giani, nessuna parentela con Ippolito Ito Giani, il grande velocista del quale abbiamo già parlato. Nel 1969 viene coinvolto dai soliti Gervasini e Bresciani, inizia con la corsa di resistenza e passa poi alla marcia, ma non nella Biumense. Sarà tesserato dapprima per la Forza e Coraggio di Arnate, poi per la Pro Patria di Milano, nel CUS Pavia durante gli anni di Università (sarà cardiologo al Circolo di Varese) e infine approda a Varese. Di lui parleremo più avanti perché, al di là dei meriti sportivi come atleta, avrà un ruolo importante come dirigente dell’atletica varesina.

Bruno Pinzin torna da militare nel 1972, stando ai suoi ricordi Bellorini già ha lasciato la Biumense, con lui allenatore è anche Volpi.

Angelo Groppelli in piena azione, con maglia Riccardi di Milano.
Angelo Groppelli si allena coi pesi nella palestrina dello stadio ‘Franco Ossola’.
Bruno Pinzin con due fra le sue migliori atlete: Katia Pasquinelli (a sinistra) e Antonella Avigni.
8 ottobre 1966 – Roberto Bobo Gervasini vince a braccia alzate gli 800 nell’incontro Italia-Urss under 21.
Osvaldo Tino Segrada, grande maratoneta.
Primavera 1969 – Alla sua prima gara nei 1000 metri ai Campionati studenteschi (siamo al Franco Ossola di Masnago) Enrico Bronzi vince nettamente. Vediamo sulla destra il noto fotografo Carlo Meazza.
Giuseppe Pippo Gazzotti, atleta della Biumense, alla maratona di New York del 1981.
1974, Campioanti italiani Cross delle nazioni: Enrico Chicco Cantoreggi arriverà nono.
Anno 1972/73, Cesano Maderno, cross corto, ecco il podio di grandi nomi: 1° Franco Fava, 2° Francesco Arese, 3° Chicco Cantoreggi, erede di Massimo Begnis nei 3000 siepi.
Luigi Brugnoni, grande talento non completamente espresso, tira il gruppo con un passo leggero e sicuro.
Foto storica del gruppo ‘Bresciani’ della Pro Patria San Pellegrino di Milano, al ‘Franco Ossola’ di Masnago. In piedi da sinistra: Domenico Marchiori, Lucchini, Massimo Begnis, Luigi Rossetti, Enrico Arcelli, Trombetta, Angelo Enzo Bresciani e il figlio Dodo. Seduti da sinistra: Roberto Bobo Gervasini, Alberto Cadonà, Enrico Bronzi ed  Enrico Chicco Cantoreggi.

8  La grande memoria di Beppe Balsamo

Un altro atleta, poi prof. di educazione fisica e tecnico di atletica, essenziale per capire la storia dell’atletica a Varese dagli anni Settanta in poi, è Giuseppe Balsamo detto Beppe. Chiedete ad un varesino che ha praticato o pratica atletica notizie sulla Regina delle Prealpi e vi dirà di andare dal professor Balsamo, che ricorda (meglio degli stessi attori in prima persona) tempi, lunghezze, primati e fatti.

Classe 1959, inizia a praticare atletica grazie ai Centri Coni. Lo tengono a battesimo, con lezioni presso la scuola media Vidoletti di via Manin, a Masnago, nomi già noti: Groppelli, Pinzin, Bellorini. Entra così a far parte della famiglia dell’Atletica Biumense, che non si può dire ‘grande famiglia’ perché i tesserati agonisti in atletica sono sempre un numero ristretto. Dalle nostre parti per i maschi abbiamo il calcio e la pallacanestro, che invogliano la maggior parte dei ragazzi, mentre le ragazze preferiscono la pallavolo, il nuoto, la ginnastica artistica e ritmica. Bruno Pinzin si dà da fare soprattutto con i Centri Coni, fa proseliti fra i ragazzi dell’oratorio di Masnago…e poi c’è la scuola con le ore di ginnastica.

Tornando a Balsamo, come atleta dimostra di essere veloce e con attitudini ai salti, soprattutto lungo e triplo. A 15 anni vanta un 9”4 sugli 80 metri e un 6.08 in lungo, che sono primati Biumense nel settore propaganda. Passerà poi al triplo. Nel 1977 ha il primato Biumense sia all’aperto (14.08) che indoor (14.14). Il 15 luglio del 1981 stabilirà il suo primato personale: 14.66.

L’ambiente dell’Atletica Biumense in quegli anni non è serenissimo, mancano gli sponsor e quando c’è crisi di fondi emergono anche le crisi nei rapporti. Difficoltà che compaiono soprattutto dopo la metà degli anni Settanta.

In ogni caso l’atletica varesina non si ferma. Lo conferma, carta canta, il già citato annuario dell’Atletica Biumense 1976/77.

Riportiamo qui il rendiconto della stagione agonistica 76/77, redatto – con buona probabilità – da Bruno Pinzin:

CORSA CAMPESTRE

L’abbandono dell’attività di parecchi ragazzi ha ridimensionato certe aspettative nel trofeo regionale ‘Villani’. Si è comunque ottenuto un 11° posto nella classifica complessiva, 9° posto con gli allievi, 9° con gli juniores e 9° con i seniores. Nel settore femminile 7° posto complessivo, 8° con le allieve e 7° con le juniores. Si è partecipato ai Campionati italiani di società sia femminile che maschile ottenendo un 22° posto assoluto fra i maschi ed un 14° posto con le juniores. Da segnalare l’11° posto individuale di Luisa Magnaghi agli italiani juniores ed il 6° di Zanantoni Mario ai regionali allievi. Si è anche partecipato con 3 atleti ai campionati italiani individuali.

INDOOR

Per l’importanza tecnica che sta assumendo questo particolare tipo di gara ne abbiamo esteso notevolmente la partecipazione. I risultati sono stati brillanti: 2 titoli italiani giovanili ottenuti da Motta nei 60 piani e da Amadio nei 60hs. Nella stessa gara Amadio ha anche stabilito il primato italiano di categoria.

CAMPIONATO ITALIANO SOCIETA’ PROVE MULTIPLE

Nelle prove multiple la Società ha già una tradizione e la maturazione ddei ragazzi, grazie al solito Amadio ed al coraggioso Tartari, ha permesso di vincere il titolo italiano di Società Juniores. Inoltre Amadio ha vinto il titolo regionale juniores e si è piazzato al 4° posto assoluto; da segnalare che nel decathlon Amadio figura al 3° posto in Italia juniores. Nelle 3 categorie si è confermato il 6° posto assoluto in Italia, 3° posto in regione delle allieve nel pentathlon.

CAMPIONATO ITALIANO SOCIETA’ STAFFETTE

Quest’anno la Federazione ha limitato il campionato di staffette alle categorie allievi e juniores nelle quali pur senza brillare in nessuna specialità in particolare, si sono ottenuti ottimi piazzamenti:

  • Categoria allievi         4° posto in regione e 9° in Italia
  • Categoria juniores     4° posto in regione e 8° in Italia
  • Assoluto                       4° posto in Lombardia e 9° in Italia
  • Da segnalare la 4×100 allieve che ha vinto il titolo regionale.

CAMPIONATO ITALIANO SOCIETA’ SU PISTA

Dopo 2 anni positivi con la categoria allievi, non si è riusciti ad accedere alla fase nazionale; l’impresa invece è riuscita alle allieve che hanno superato bene la fase regionale (8.900 punti, 5° posto in Lombardia) ma si sono arenate nella semifinale nazionale a Brescia (23° posto in Italia).

Finalmente si è espressa degnamente anche la squadra maschile juniores-senior che ha ottenuto punti 15.442 nella fase regionale (9° posto in Lombardia e circa 30° assoluto in Italia; notevole il fatto che la squadra è composta quasi interamente da juniores.)

CAMPIONATI ITALIANI INDIVIDUALI

Questo anno si è raggiunto il record di presenze: ben 12 atleti ed atlete infatti hanno ottenuto il minimo per partecipare ai campionati italiani allievi ed allieve, juniores maschile e femminile a Firenze.

Anche i risultati sono stati lusinghieri:

2° posto di Amadio nei 110hs juniores

3° posto di Motta nei 100 piani juniores

8° posto di Balsamo nel salto triplo juniores

5° posto di Galli nei 110hs allievi

Nella categoria juniores si è ottenuta una buona classifica per Società, circa il 15° posto in Italia. Motta e Amadio hanno partecipato anche ai campionati italiani assoluti a Roma, Motta è giunto in semifinale mentre Amadio, pur in forma, è stato sfortunatissimo. Si è fatto eliminare in modo banale in batteria.

CAMPIONATI REGIONALI INDIVIDUALI

Da segnalare i 2 titoli di Galli nei 110 hs e nel triplo nella categoria allievi, il 3° posto di Odorizzi nel getto del peso sempre nella categoria allievi, il titolo di Milena Pozzatello nel salto in lungo allieve e il 5° posto di Olivia Broggi nei 100 piani allieve.

Nella categoria juniores altri 2 titoli per Amadio nei 110hs e nel salto in lungo, 2° posto di Tartari nel salto in alto e 5° posto nel triplo. Nelle siepi 4° posto di Varani e 5° di Franzini.

Nei campionati regionali assoluti da segnalare il 2° posto di Varani nei 1500 ed il 5° di Amadio nel salto in lungo.

SETTORE PROPAGANDA

Per l’impossibilità materiale di tempo e di persone al seguito, quest’anno il settore è stato poco seguito. Per risultati hanno brillato Morandini (80 piani 9”4) e Della Chiesa (2000 in 6’06”9) tra i ragazzi, Macchi Lorella (1000 m 3’11”1) e Tosin Fiorella (1000 m in 3’13”6) tra le ragazze.

Come piazzamenti da rilevare il 4° posto di Morandini negli 80 metri ai campionati regionali ed il suo punteggio (926 p.) nel triathlon.

Da porre in risalto altri risultati ottenuti in gare non di campionato. Il 24”00 nei 200hs ed il 14”3 nei 110hs ottenuti da Amadio entrambi ad un solo decimo dal primato italiano di categoria di Eddy Ottoz; il 10”4 ottenuto da Motta nei 100 che lo colloca al secondo posto assoluto in Italia nella classifica per tempi manuali (6° assoluto). Da segnalare la presenza di Amadio nella nazionale juniores a Varsavia contro la Polonia.

Infine la vittoria dell’Atletica Biumense nel 30° Trofeo ‘Caduti Biumensini’, questo anno, trofeo nazionale juniores.

Qualche considerazione dopo la lettura di questo resoconto. Gli atleti di punta di questo periodo sono, per i maschi, il velocista Mario Motta e l’ostacolista Enos Amadio, bene anche Tartari nell’alto e Balsamo nel triplo; fra le ragazze soprattutto due nomi, Olivia Broggi nella velocità e Luisa Magnaghi (800, 1500 e 3000).

Difficoltà nel settore propaganda, e qui emerge il fatto che l’atletica, al pari di altri sport, nelle categorie giovanili ha molto bisogno del supporto della famiglia per l’accompagnamento alle gare, aiuto che oggi (vedi la disponibilità anche dei nonni) è più fattibile, più difficile negli anni Settanta.

Abbiamo accennato a Luisa Magnaghi. E’ lei la prima tesserata femmina della Biumense, sono suoi i primati di società negli 800 (2’21”), nei 1500 (4’54”36), nei 3000 (10’59”4) e nella staffetta 4×400 (4’11”7), stabiliti fra il 1976 e il 1977. Sarà ancora lei fra i soci fondatori, nel 1980, della Nuova Atletica Varese.

Incontriamo Luisa a molti anni di distanza. Non pratica più atletica da tempo ma ama camminare in montagna e ha ottimi ricordi di quel tempo e di quell’età, come direbbe Guccini. Classe 1960, ama correre sin da bambina, in estate è spesso in vacanza a Luino, lì inizia a praticare atletica leggera proprio con una società del lago Maggiore. Scuole Medie alla Dante di Varese, suo fratello Enrico è amico di Giuseppe Balsamo, e sarà proprio Balsamo ad invitare Luisa, un anno più giovane di lui, al ‘Franco Ossola’ di Masnago. Siamo più o meno nel 1974. Per 5 anni Luisa gareggerà in maglia Biumense, come già scritto ottima atleta dagli 800 ai 3000, in principio si cimenta sui 1000, poi tante campestri in inverno, il piacere della corsa.

“Sono stati anni piacevoli, ricordo più o meno della mia età Alessandra Cocquio, Ileana Moretti, le sorelle Malnati. Sono sempre stata allenata da Bruno Pinzin. Purtroppo intorno ai diciotto anni un ginocchio mi ha dato problemi, così ancor prima dei vent’anni ho smesso con l’agonismo.”

La canottiera Biumense di Luisa Magnaghi.
Ritagli di giornale dal quotidiano La Prealpina, metà anni Settanta.

Alla fine degli anni Settanta la rottura in seno alla Biumense. Non è dato sapere con precisione i motivi. Probabilmente la morte di Alfredo Broggini, collante di unità dell’Atletica Biumense, accentua i contrasti. Stando alla testimonianza di Stefano Giani, il presidente Renzo Capanna vorrebbe vendere i migliori atleti alla Riccardi di Milano, questo non trova d’accordo il tecnico Bruno Pinzin, che nel 1980 fonda la Nuova Atletica Varese.

Soci fondatori sono Luisa Magnaghi, Gabriella Macchi, Luigi Luraschi, Luigi Cottini, Giovanni Raviola e Stefano Giani, che proprio dal 1980 continuerà anche la sua attività agonistica, con la maglia della NAV.

La maggior parte degli atleti della Biumense segue Pinzin. Grazie a Roberto Gervasini la NAV trova anche uno sponsor di prestigio, la Paul & Shark. Beppe Balsamo comincia in NAV anche la sua carriera di allenatore.

Come allenatore, in tutti questi anni (e ancora continua) Giuseppe Balsamo ha avuto la soddisfazione di educare allo sport dell’atletica leggera centinaia di atleti…e anche soddisfazioni in famiglia. La figlia Chiara, classe 1991, si è cimentata nella corsa lunga, con tempi di tutto rispetto nella maratona (3 ore e 41 primi a Lisbona) e nella mezza (1 ora e 34 primi nella Verbania-Stresa). Il figlio Michele, classe 2002, tesserato per la Varese Atletica, ha preso dal padre soprattutto lo spunto veloce, e l’allievo ha superato il ‘maestro’ sia sui 60 indoor (7”25 il 9 gennaio 2022) sia sui 100 (11”44 il 17 luglio 2021).

Chiara Balsamo alla mezza maratona di Monza.
Aprile 2016 – Un giovane Michele Balsamo, in maglia azzurra Vidoletti, già dimostra in terza media le sue doti di velocista sugli 80 metri.

Ricordando quegli anni, Pinzin fa memoria soprattutto della difficoltà di trovare ragazze disposte a continuare l’atletica alle scuole superiori e oltre. “Con le ragazze era sempre così” dice Bruno. “Bene sino alle medie, poi il desiderio di trovare un ragazzo le allontanava dalla pista.”

Le cose cambieranno, per le ragazze, con l’avvento di atlete quali Antonella Avigni, Elena Milan ed Emanuela Baggiolini.

Un altro testimone prezioso di quel periodo, classe 1959 come il già citato Balsamo, è Danilo Franzini. Abita a San Fermo, è un ragazzo vivace che ama correre per i prati insieme ai suoi cugini. Sente il desiderio di iscriversi in una società per praticare atletica più seriamente, scopre la Biumense e Bruno Pinzin. Si dedica subito al mezzofondo, 800, 1500. Avrà come record personali 3’50’1 nei 1500 (ottenuto nel 1982, Stadio dei Marmi a Roma, durante il militare) e 9’01”7 nei 3000 siepi. Sarà sempre tesserato per la Biumense e per la NAV (tessera n° 2), un paio d’anni con la Snia Milano, a metà degli anni Ottanta. Decide di iscriversi all’Isef e quindi inizia presto anche la carriera di allenatore. Pinzin gli affida i giovani, categoria ‘ragazzi’ e ‘cadetti’.

“Nel giro di pochi anni” ricorda oggi Franzini “sono nate due squadre molto forti, sia di ragazzi che di ragazze, capaci di arrivare alle finali nazionali di categoria. Tornato da militare, agli inizi degli anni Ottanta, Pinzin mi affida invece il mezzofondo della Nuova Atletica Varese. Ricordo soprattutto Angelo Giardiello e Roberto Baderna, ma in quegli anni avevamo almeno sei o sette mezzofondisti capaci di scendere sotto i 4 minuti nel 1500.”

Dopo molti anni come allenatore, Franzini intorno al 2005 abbandona, e subentra come coach dei fondisti Silvano Danzi. Da qualche mese, arrivato alla pensione, ha ripreso ad allenare per il Cus Insubria Varese-Como.

Un altro testimone del periodo Ottanta-Novanta, con il passaggio da Nuova Atletica Varese ad Atletica Varese per i maschi è Francesco Lenotti detto Cecco, classe 1957. Docente di educazione fisica, fra le altre cose preparatore atletico dei Roosters della stella nel 1999, da giovane primeggia nel basket ma – seguendo la sua inclinazione – desidera fare nuove esperienze. Nel 1986, a 29 anni, convinto anche dal collega insegnante Beppe Balsamo, quasi una scommessa, passa alla Nuova Atletica Varese. Ama le prove multiple, vorrebbe dimostrare che anche partendo sul limitare dei trent’anni è possibile fare buone cose. Un anno è dedicato solo al lungo e al triplo, poi il via con il decathlon, con ovvie difficoltà nelle specialità tecniche (in primis il salto con l’asta) ma anche con sorprese nei risultati. Lenotti arriverà a superare i 6000 punti, la sua ultima gara sarà un Campionato italiano di società, lui presente nel decathlon, con l’Atletica Varese terza in Italia. Cecco sarà capace di 4’30” nei 1500, di un 49”9 manuale sui 400, di un 15”36 nel 110hs, 11”2 nei 100, 6.36 in lungo, 192 in alto, 11 e poco nel peso, 40 e rotti nel giavellotto, 32 e rotti nel disco e (tallone d’Achille) 3.50 nell’asta (in allenamento, perché in gara non andrà mai oltre i 3.30, con grave perdita di punti). A metà degli anni Novanta, sempre seguendo la sua indole che reclama nuove esperienze, Francesco Lenotti lascerà l’atletica per passare al ciclismo, al triathlon, alla vela, allo sci, al rugby. E ancora adesso pedala e corre.

1981, Saronno: Giuseppe Balsamo, in maglia Biumense, salta 14.36 nel triplo.
Annuario della Biumense degli anni Settanta.
Annuario della Biumense degli anni Settanta.
Beppe Balsamo con Stefano Bottelli, campione italiano di categoria nel salto in lungo con m 6.54.
Beppe Balsamo, decano della scuola media di Caronno Varesino, con alcuni alunni.
Marco Caccianiga (a destra, maglia gialla) nel 1977, Giochi della Gioventù al ‘Franco Ossola’, specialità 400 piani.
Matera, 1982: Danilo Franzini in testa nei 3000 siepi.
Danilo Franzini, secondo da destra, con un gruppo di atleti del fondo. Riconosciamo, secondo da sinistra, Andrea Macchi, eccellente specialista della corsa in montagna.
Danilo Franzini con Fabri Chris Mangano.
Cecco Lenotti con la canotta di atletica leggera.
Cecco Lenotti con Andrea Meneghin, che è stato suo giocatore quando era preparatore atletico dei Roosters, vincitori del Campionato di basket di serie A annata 1998/99.

9       Il nuovo impianto ‘Giovanni Bellorini’

1991: la Nuova Atletica Varese diventa solo femminile, i ragazzi entrano in una nuova società, l’Atletica Varese. Un anno il presidente di AV è Varani, poi per dieci anni Stefano Giani, che alterna il lavoro di dirigente a quello di atleta marciatore. Giuseppe Balsamo cura il settore dei salti, Danilo Franzini il mezzofondo e la velocità, Sergio Castelli i lanci, Fabio Pilori si specializza nel salto con l’asta.

I rapporti con Bruno Pinzin e le ragazze della NAV sono buoni, gli allenamenti sono comuni, frequente è la collaborazione fra i tecnici.

Nel frattempo si è realizzato un cambiamento importante, per ciò che riguarda le strutture.

Da anni emerge il problema della pista del ‘Franco Ossola’, sempre più deteriorata. Frequenti i battibecchi, come già scritto, fra gli atleti, i calciatori del Varese e i ciclisti che usano la pista in cemento. Il Comune di Varese prende sul serio questa necessità dell’atletica varesina, vengono vagliate alcune soluzioni, si trova alla Schiranna un terreno che pare adatto alla bisogna.

Roberto Gervasini ricorda che vi furono critiche al riguardo, che quella zona veniva considerata troppo nebbiosa. Il giornalista del foglio locale La Prealpina, Giancarlo Pigionatti, diplomato Isef, sportivo praticante soprattutto del basket, con una serie di articoli definisce ‘nebbiodromo’ il nuovo campo di atletica, la campagna di stampa ha effetto, si trova finalmente una soluzione di compromesso. L’area viene individuata a Calcinate degli Orrigoni: un po’ di nebbia arriva anche lì, sarebbe stato meglio più a nord, ma bisogna fare di necessità virtù. Come ricorda Beppe Balsamo, nelle vacanze di Pasqua del 1988 l’AV e la NAV cambiano sede, entrando finalmente nel campo scuola di Calcinate degli Orrigoni, con strutture pensate solo per l’atletica leggera. Manca una tribuna, manca una struttura al coperto, vi è solo una piccola palestra, ma è la manna per chi è stato abituato a ben più scalcinati impianti.

‘Purtroppo’ l’impianto, agli inizi degli anni Novanta, verrà intitolato a Giovanni Bellorini. Scrivo purtroppo perché Gianni, il prof., colui che ha dato vent’anni delle sue competenze alla Biumense, che ha segnato gli esordi dell’atletica moderna nella nostra città, muore tragicamente in un incidente di montagna, a Bognanco, nell’inverno del 1990.

In un articolo pubblicato sul settimanale ‘Luce’ dal titolo ‘Quanto può valere un Bellorini qualsiasi’ (29 ottobre 1989) abbiamo forse una delle sue ultime, se non l’ultima intervista, dalla quale emerge il personaggio. Ne ripropongo alcuni passaggi:

Per descrivere compiutamente Giovanni Bellorini non basterebbe un libro. Il prof di ginnastica per antonomasia (“Ho fatto trent’anni di geometri, conosciuto un sacco di ragazzi”) si presenta da par suo: “Uè, chi va là!” Eccolo: giacca a vento fuori moda, scarponcini, baschetto amaranto, sorriso convinto. Lo conosco per fama: siamo subito amici. Mi interessa cogliere le motivazioni del suo impegno ultradecennale con i giovani sfortunati: handicappati prima, tossicodipendenti ora. Parto da lontano, lui si descrive con una spontaneità vorticosa: “L’Isef a Roma dal ’57 al ’60, poi ai geometri senza cambiare mai istituto; aggiungi vent’anni di atletica Biumense. Son sempre stato con i ragazzi sani, ora penso a chi è in crisi. Quando ho cambiato settore? Colpa di Rodolfo Rossi, mio ex-atleta incontrato in ospedale sulla sedia a rotelle: incidente, frattura di una vertebra cervicale. E’ stata una mazzata. Undici anni fa entro in argomento con una mia ‘quinta’: il problema droga si imponeva all’attenzione di tutti, bisognava prevenire. Ricorda che la droga la battiamo noi insegnanti, la famiglia, non i medici. Tornando a quella discussione in classe: il futuro dei ragazzi mi provoca, partecipo ad un incontro dell’Associazione genitori dei Tossicodipendenti, mi lascio coinvolgere…”  

Ecco allora il prof che porta in giro sessanta ragazzi alla volta, ospiti del Centro Gulliver, gite culturali, sport all’oratorio di Masnago, vorrebbe andare in pensione per dedicarsi anima e corpo a questi ragazzi, non ha ancora l’età per lasciare la scuola.

”E quella volta dal Muccioli, a San Patrignano? Parto con moto e tenda, come sempre. Non ho passato la portineria, non mi riceve: cosa vale un Bellorini qualsiasi?…”

L’amata moto del prof.: proprio con la moto avrà un incidente che lo priverà di un occhio, un trauma dal quale fatica a riprendersi. Sino alla disgrazia in montagna, la morte sotto la neve. Vent’anni alla Biumense, lo Sci Nordico a Brinzio, la scelta negli ultimi anni per i ragazzi che non diventeranno mai campioni ma hanno diritto a vivere felici, la tragica fine, in fondo probabilmente già scritta, ‘adatta’ ad un personaggio così. Una fine da romanzo per una vita intensa e appassionata, fuori dal comune.

Anni Sessanta: Gianni Bellorini, a sinistra, con la sua 2Cavalli. Con lui anche Alessandro Frè.
1985 – Lo Sci Nordico Varese festeggia i dieci anni di vita. La società di sci da fondo di Brinzio è nata anche grazie alla passione di Gianni Bellorini, che qui vediamo in camicia a quadri. Alla sua sinistra Alfredo Bianchetti, un altro protagonista dell’atletica varesina, già ricordato in questo libro.
Gianni Bellorini con il tipico baschetto amaranto.
La pista del ‘Franco Ossola’ vista dal Campo dei Fiori.
Dal 1988 l’atletica varesina si è spostata nel nuovo impianto ‘Bellorini’ di Calcinate degli Orrigoni. Qui lo vediamo dal Campo dei Fiori nel novembre 2021, con il nuovo impianto al coperto, dedicato ad Enrico Arcelli.

10  Un formidabile gruppo di ragazze

Spazio alle ragazze, e allora dobbiamo ricordarci di una varesina che ha vissuto per 5 volte la gioia della maglia azzurra, fra il 1987 e il 1991: si tratta di Laura Faccio, classe 1959, specialista dei 3000, che vanta un personale di 9’19”28.

Più giovane di sette anni rispetto a Laura (per la precisione, nata a Gavirate il 4 aprile 1966), Katia Pasquinelli può essere considerata la migliore specialista delle prove multiple della nostra provincia, reginetta dell’eptathlon, due volte Campionessa italiana, nel 1983 (5352 punti) e nel 1985 (5625 punti). Nel 1985 queste le sue misure da record: 6.32 nel lungo, 1.63 nell’alto, 24”83 nei 200, 2’22”66 negli 800, 14”22 nei 100hs, m 11,56 nel peso e m 38,36 nel giavellotto.

1983 – Bolzano Incontro Italia-Spagna: Katia Pasquinelli in azione

Ben nove volte in nazionale è stata Antonella Avigni, nata a Varese il 19 gennaio del 1968. La scopre come atleta in erba la sua prof. di ginnastica alla media Vidoletti, Nicoletta Roselli, che cerca di convincerla a passare dalla ginnastica artistica all’atletica e la porta da Bruno Pinzin. Il prof. della Nav la sottopone ad un test, evidentemente impegnativo dato che Antonella, che è in prima media, per un anno non ne vuole sapere di atletica. Troppo stressante. Poi, nell’estate fra la seconda e la terza media, le insistenze di Pinzin la riportano sulla pista e da allora da lì non si è più mossa. La sua carriera sportiva inizia come velocista. Al secondo anno ‘cadette’ stabilisce il record italiano sugli 80 con 9”8. Nel 1987 corre le 60 yard in 6”7, record italiano juniores ancora imbattuto. Nel 1988, a vent’anni, stabilisce il suo personale sui 100 (11”80 elettrico), è fra le migliori 4 velociste in Italia ed è pronta per le Olimpiadi di Seul, staffetta 4×100, ma uno stiramento in primavera le fa saltare la stagione agonistica. Sfortuna che non l’aveva aiutata nemmeno l’anno prima, il 1987, quando, seconda ai campionati italiani nei 100 (battuta solo da Marisa Masullo) non viene convocata per i Campionati Mondiali di Roma ’87 perché non può recarsi ad un raduno, avendo la maturità. Passa poi dalla velocità al salto in lungo.

Nel 1988 esce un bel libro del giornalista masnaghese Natale Cogliati, ‘Vincere è bello’. Raccoglie una lunga intervista alla Avigni. Alla domanda relativa alla scarsa considerazione che raccoglie l’atletica da parte degli atleti e degli spettatori di altri sport, in primis il calcio, la bionda ragazza del castello di Masnago così risponde: “Non saranno loro a farmi cambiare idea. La mia attività ha un fascino particolare che solo io conosco, l’atletica è uno stimolo alla fantasia, mi compiaccio di fare questo lavoro, mi fa vedere donna sotto tutti gli aspetti possibili. Il temperamento mi spinge a insistere, dipende dalla mia natura; per me i cento metri fatti di corsa sono una lunghissima avventura maturata in migliaia di metri di preparazione.”

Nel 1990 è Campionessa italiana indoor nel salto in lungo, con m 6.20, mentre il suo personale in lungo, stabilito nel 1992, è m 6.45 (ha anche un 6.50 in altura, al Sestriere). L’anno dopo realizza il suo personale nel salto triplo, con m 13.41. Ha partecipato alle Universiadi nel 1991.

Punta di diamante della Nuova Atletica Varese, nel 1992 passa alla Snam di Milano e vi resta sino al 1999, quando torna alla Nav e gareggia sino agli inizi del nuovo millennio. Dal 1991, appena diplomata Isef, comincia anche ad allenare insieme a Bruno Pinzin e Nadia Zardini.

Dopo una pausa (si trasferisce a Milano), torna a Varese e dal 2001 è di nuovo sul campo di Calcinate e attualmente è ancora in forza alla Nav, con Bruno Pinzin. Avigni si occupa soprattutto di ‘cadette’ e ‘allieve’, Eleonora Trommino della categoria ‘ragazze’, Alessandra Fusaro delle ‘esordienti’.

Ha due figlie, ottime atlete, Alice (classe 2004) ed Eleonora. In particolare Eleonora, classe 2000, è fra le migliori velociste italiane. E’ stata campionessa italiana ‘allieve’ indoor nei 60 (7”70 ad Ancona nel 2017), ha un personale di 11”71 (ventoso) e 11”82 nei 100, di 24”51 nei 200, di 40”91 nei 300 e di 7”52 nei 60. Purtroppo una malattia l’ha bloccata per due anni, ma ora Eleonora si sta riprendendo alla grande.

Grande interprete varesina dell’eptathlon, erede di Katia Pasquinelli, è certamente Elena Milan, nata a Varese il 30 gennaio del 1971. E’ in seconda media alla ‘Pellico’ di Varese quando il suo prof. di ginnastica, Eugenio Lelii, propone un test di salto in alto; la misura non è esattissima, asta un po’ storta eccetera, ma Elena salta 1.50, fra lo stupore generale. Paoletta Messina, una sua amica del 1970, che già pratica atletica alla Nav, la invita in società e lì incontra Pinzin. Ci si allena ancora al ‘Franco Ossola’. Da allora (siamo nel 1984) Milan non abbandonerà più il campo. Nell’agosto del 1993, a Bologna, stabilisce il suo record nelle sette prove, con 5.638 punti. Ecco il dettaglio delle prestazioni: m 5.83 nel lungo, m 1.72 in alto, 25”18 nei 200, 2’13”31 negli 800, 14”15 nei 100hs, m 10.41 nel peso e m 39.54 nel giavellotto.

Nel 1999 salta m 6.51 in lungo, un centimetro in più di Antonella Avigni: è quindi suo il record Nav di lungo.

10 volte in nazionale, partecipa fra l’altro alle Universiadi di Buffalo (14-15 luglio 1993, 9^ nell’Eptathlon con 5438 punti) e ai Mondiali Juniores.

In maglia Nav sino alla stagione 2000, per due anni veste poi i colori del Cus Parma e appende le scarpette al chiodo nel 2003, per motivi di lavoro. Purtroppo la sua lunga carriera è stata condizionata da alcuni infortuni non secondari, soprattutto ai tendini d’Achille, tanto da perdere le stagioni agonistiche 1996/97, proprio nel periodo che avrebbe potuto dare ad Elena ulteriori soddisfazioni sportive.

Sua figlia Ludovica, classe 2006, salta già 5.33 in lungo.

La Nuova Atletica Varese conquisterà svariati titoli italiani nelle prove multiple.

Completa il poker di ragazze Emanuela Baggiolini, nata il 10 giugno del 1972. Atleta che spazia dai 100 ai 3000 con e senza ostacoli, ha un personale sui 400hs di 57”74 ottenuto nel 2001. Una presenza in nazionale. Già oltre i 40 anni, realizza il primato italiano dei 200hs master W45 con il tempo davvero ottimo di 29”51.

Ma l’eccellenza nella Nuova Atletica Varese non si ferma qui. Undici anni dopo Emanuela nasce a Varese Daniela Cionfrini, classe 1983. Una grande passione per l’atletica già dalle elementari, si iscrive ai corsi organizzati dal Comune di Varese, che portano i miniatleti subito sul tartan del campo ‘Bellorini’, sotto l’occhio vigile ed esperto di Bruno Pinzin. Daniela eccellerà soprattutto nel giro di pista con ostacoli, anche se otterrà un ottimo 56”33 anche sui 400. Personale sui 400hs di 59”13 ottenuto a Bressanone nel 2005, Cionfrini ricorda con emozione soprattutto tre gare: il titolo italiano al 2° anno junior, ottenuto il 21 giugno 2002 all’Arena di Milano (1’01”39), un altro titolo italiano il 12 giugno 2004 (2° anno promesse) a Rieti (1’00”21), raggiunto dopo molti mesi di stop causa una microfrattura, e la maglia azzurra ai Campionati europei U23 il 15 luglio 2005 ad Erfurt, in Germania (59”94). Quattro maglie azzurre, un inizio come allenatrice in NAV ma oggi il lavoro e la famiglia la tengono lontana, con nostalgia, dalla pista di atletica. Fa però parte del Consiglio della NAV ed è consigliere provinciale Fidal.

“L’atletica è la mia vita” dice oggi Daniela. “Mi è servita come scuola di vita, ad essere precisa, organizzata, determinata. Spero di riuscire a trasmettere questi valori ai miei figli.”

Como 1980 – Daniela Graglini, Nuova Atletica Varese, nel salto in lungo, la sua specialità.
Inizi anni Ottanta: un giovane Bruno Pinzin ha scoperto le scarpe Puma! La ragazza bionda al suo fianco è Daniela Graglini.
Katia Pasquinelli, reginetta dell’eptathlon.
Antonella Avigni in maglia azzurra.
Antonella Avigni ai blocchi di partenza.
Valladolid, Coppa Europa: Elena Milan nel lancio del giavellotto.
Valladolid, Coppa Europa: Elena Milan, partenza dei 200
Nembro: Elena Milan nel salto in lungo, il giorno del suo personale di 6.51.
Torino 24/07/2015 Stadio Primo Nebiolo,Campionati Italiani individuale Assoluti su Pista – Foto di Giancarlo Colombo/A.G.Giancarlo Colombo. Emanuela Baggiolini, grinta sugli ostacoli.
Emanuela Baggiolini, iron-woman.
2002 Milano: Daniela Cionfrini, campionessa italiana juniores 400 hs.
2002 Gorizia: Daniela Cionfrini, in maglia azzurra nel triangolare Italia, Gran Bretagna, Spagna.
25 febbraio 2017 – Ancona, Campionati italiani master 400 F45: Emanuela Baggiolini tenta il record italiano.
4 giugno 2015 – Golden Gala Pietro Mennea: Emanuela Baggiolini vince gli 800 master

***   

Scritto delle atlete più rappresentative della Biumense e poi Nuova Atletica Varese facciamo un passo indietro, perché il ritrovamento di un Annuario della stagiona agonistica Nav 2000 ci consente di avere dati interessanti, che meritano di trovare spazio qui.

Bruno Pinzin (è lui l’autore dell’Annuario) con le sue atlete è in festa per i vent’anni della società, i risultati ci sono, la società si va consolidando e allora ecco la pubblicazione di uno scritto, che riassume i primi due decenni Nav, 1980-2000. Scrive Pinzin:

“…Il Passato…Era una sera di dicembre di vent’anni fa, dicembre 1980…Ci riunimmo nella saletta del bar del signor Ghelfi (il bar oggi con c’è più, era a cento metri dall’attuale campo di atletica) Bruno Pinzin, Luigi Luraschi, Luigi Cottini, Gabriella Macchi, Giovanni Raviola, Luisa Magnaghi, Stefano Giani (attuale Presidente della squadra maschile) e alla presenza di una cinquantina fra genitori, atleti e simpatizzanti pronti a rompere con il passato, decidemmo di fondare una nuova società, la NUOVA ATLETICA VARESE.

L’inizio fu duro: molto entusiasmo, parecchi atleti dissidenti, soldi niente o quasi.

Si viveva di autofinanziamento e con l’appoggio dei primi soci sostenitori (procurati dal signor Luraschi), ma l’arrivo quasi immediato dei primi risultati (Titoli italiani e nazionali con Katia Pasquinelli) portò ad una continua espansione della società.

Il culmine si toccò alla fine degli anni Ottanta con il reperimento di uno sponsor di spessore (Paul & Shark – Maglificio Dama): Titolo di Campione Europeo Juniores 3000 siepi con Angelo Giardiello, due finali A consecutive (primi 20 in Italia) della squadra assoluta femminile, finale A per la squadra Allieve e Juniores maschile e femminile, titoli italiani di società di Prove Multiple Allievi e Allieve, 5 atlete in maglia azzurra (1990).

La perdita dello sponsor, le incomprensioni che portarono alla divisione del settore maschile (1993), la partenza di Antonella Avigni, probabilmente la nostra atleta più rappresentativa, portarono la società quasi allo scioglimento.

Fu crisi profonda: pochissimi soldi, atlete poche e demotivate, nessun ricambio giovanile, nessun entusiasmo.

Si dice che negli adolescenti le crisi portino alla progressiva maturazione, fu così anche per noi, in fondo la società aveva meno di quindici anni. Maturò una nuova atleta, Elena Milan, con titoli italiani e nazionale A, pian piano tornò la voglia di fare, tornarono le idee e la società riprese ad espandersi fino a raggiungere negli ultimi tre, quattro anni risultati complessivi anche migliori che in passato.

Speriamo che i risultati raggiunti non siano il solo parametro di giudizio: eravamo e siamo tuttora convinti del valore educativo di ciò che abbiamo fatto, l’atletica è un fatto culturale e tutti coloro che ci hanno avvicinato in questi anni hanno avuto l’opportunità di un’esperienza di vita unica e non facilmente ripetibile.”

L’Annuario elenca poi in sintesi i migliori risultati ottenuti dalla Nav in vent’anni di attività. Pinzin poi getta uno sguardo sul futuro:

“La stagione 2000 appena conclusa è stata ricca di risultati e anche superiore al 1999 che già ci aveva dato grandi soddisfazioni…Ci sembra doveroso fare alcune osservazioni:

  1. Il recentissimo comunicato della Federazione che ci mette nuovamente all’11° posto in Italia nella classifica complessiva di tutti i vari campionati ci riempie di orgoglio perché siamo fra le poche società che svolgono attività con atlete dagli 11 ai 30 anni in grado di partecipare in modo competitivo a tutti i campionati su pista.
  2. La serietà delle atlete più grandi che hanno rinunciato alle vacanze estive per partecipare nelle migliori condizioni alla Finale di Coppa Italia e ai Campionati italiani assoluti.
  3. La maturità e consapevolezza delle più giovani che hanno programmato le vacanze estive in modo mirato, allenandosi e che si sono presentate in ottima condizione per la seconda parte della stagione raccogliendo risultati prestigiosi. Mai tante allieve hanno partecipato ai Campionati italiani e con risultati così brillanti e sottolineo la vittoria nella Finale CdS giovanile A1 e il 2° posto nella Finale CdS Prove multiple giovanili…

La TOP MOTO ci ha riconfermato la sponsorizzazione. Tutte le atlete versano una quota di adesione di 250.000 lire. Riceviamo i contributi, in base ai risultati ottenuti, dalla Federazione e dal Coni che sono sempre più esigui. Le famiglie, che non ringraziamo mai abbastanza, danno un sostegno fondamentale all’attività sia direttamente che indirettamente. Tutto ciò non è comunque sufficiente a coprire le esigenze di bilancio, pertanto torniamo a ribadire l’importanza dei sostenitori. Solo con una base ampia e sicura di soci è possibile pianificare l’attività in modo adeguato.

Consultando l’Annuario, che riporta anche i primati di Società, ci pare giusto citare alcune protagoniste della Nav, oltre alle cinque atlete già ricordate in precedenza (Pasquinelli, Avigni, Milan, Baggiolini e Cionfrini). Martina Passera è stata protagonista negli ostacoli (60 e 100hs), Giuliana Ferro nella velocità, Silvia Pucci, altra ottima velocista, Sara Quercioli (ottima ostacolista ed esathleta), la discobola Valeria Montalbetti, la martellista Marina Ielmini, la triplista Laura Broggini, e ancora Martina Gavaz, Erica Aceti, Denise Freri, le molte Zanzi (Michela, Sara, Valentina, Maddalena), Anita Dal Monte, Stefania Berselli, Anna Piazza.  

Annuario Nav 2000
Vent’anni di Nav

Altra pagina gloriosa per la Nav la troviamo nel 2003: vittoria ai CdS Assoluti A1 ad Ostia, partecipazione alla Coppa dei Campioni giovanile, 20-21 settembre 2003, Barcellona. Una trasferta che vede la Nav raggiungere il secondo posto, battuta solo dalle atlete svizzere del Frauerfeld, per pochi punti, e per un errore nel cambio della staffetta 4×100. Un titolo continentale sfumato, ma una grande soddisfazione per la nostra Varese dell’atletica leggera femminile.

Ostia, 2003, Finale CdS A1 – Le campionesse italiane

11   I ragazzi dell’Atletica Varese

Più o meno coetanei delle ragazze formidabili che abbiamo descritto, troviamo in quegli anni a Varese un bel gruppo di atleti di alto livello, tutti cresciuti alla Nuova Atletica Varese e successivamente all’Atletica Varese.

Del 1977 abbiamo Alessio Marchiori, che vanta 21”64 sui 200 e 47”52 sui 400, il miglior varesino in questa distanza.

Andrea D’Ambrosio, classe 1968, sarà 4 volte in Nazionale giovanile, 10”60 sui 100 e 6”77 sui 60 indoor.

Nasce a Varese il 12 luglio del 1969 Roberto Baderna, Campione italiano nei 1500 nel 1996 con 3’45”51 (suo personal best sulla distanza 3’42”12), valido anche nei 5000 e nei 10000. Purtroppo un incidente automobilistico lo costringerà al ritiro prematuro dalle competizioni.

Un talento rimasto inespresso ai massimi livelli è Angelo Giardiello, nato a Varese il 18 febbraio del 1970. Campione europeo junior sui 3000 siepi nel 1989 a Varazdin (8’53”6), non riuscirà a mantenere le promesse giovanili. Ottimo sulla distanza anche il fratello Claudio.

E sempre del 1970 è Alessandro Avigni, il miglior decathleta varesino. Inizia a praticare atletica leggera in quarta elementare, seguendo la sorella Antonella. Allenato da Beppe Balsamo, dimostra subito talento per le prove multiple, vince i campionati italiani ‘allievi’ ma purtroppo problemi fisici, soprattutto alla schiena, lo obbligano a limitarsi a velocità e lungo, che gli permettono comunque di emergere: 10”85 sui 100 e 7.26 nel lungo. Sul finire della carriera, dopo essere passato alla Snam e quindi all’Atletica Riccardi, torna alle prove multiple ed ottiene 6.883 punti nel giugno del 1996 a Donnas, che è ancora il record societario della Riccardi. Ecco il dettaglio dei risultati: 10”7, 6.86, 11.91, 1.80, 51”1, 15”3, 38.60, 4.20, 45.78, 4’48”7.

Ottimi risultati anche da Fabrizio Marabini nei 400hs e da Enrico Brisca, nelle prove multiple.

Nel fondo si metterà in luce Alain Capovani, 2 volte in Nazionale nel 1988, con personali di 13’38”7 sui 5000 e 28’32”36 sui 10000.

Supererà il maestro, coach Beppe Balsamo, Simone Corti di Travedona, che nel 1989 arriverà a m 15.52 nel salto triplo.

Ottimi risultati, atleta di interesse nazionale sino al 2002 è stato Ivan Testori, classe 1968, con un personale di 14.0 sui 110 hs. Amante della montagna, scalatore e maestro di sci, ha sposato l’astista Arianna Farfalletti (ne parleremo più avanti) formando una coppia di straordinari atleti varesini.

Una citazione se la merita senz’altro Enrico Sarcuno, classe 1974, ottimo lunghista (6.91) e triplista (14.67).

Ippodromo delle Bettole di Varese, corsa campestre Memorial Bellorini, 1996: in piedi a sinistra, Ito Giani. In piedi a destra: Stefano Giani, Giuseppe Bellorini (fratello di Gianni) e Roberto Baderna.
Alessandro Avigni nel salto in lungo.
Alessandro Avigni nei 110 hs.
Ivan Testori con Arianna Farfalletti.

12  Fabio Pilori e gli astisti varesini

Grazie a Fabio Pilori, si può parlare di una vera e propria scuola varesina del salto con l’asta, che vede in testa alla classifica soprattutto due atleti, Fabio Pizzolato e Arianna Farfalletti Casali.

Pilori, classe 1961, incontra l’atletica leggera alla scuola media Vidoletti di via Manin, a Masnago. Il suo prof. di ginnastica è Bruno Pinzin, Fabio si distingue subito nel salto in alto, tanto che in terza media salta 1.65, in prima superiore 1.80. Pilori viene tesserato per la Biumense, nell’alto arriverà a 1.90 ma a diciassette anni si innamora del salto con l’asta, come il suo allenatore Pinzin. In Biumense nessuno ha dimestichezza con l’asta, studia, trova un allenatore che senz’altro ha approfondito l’argomento, ci mette del suo, si iscrive all’Isef e arriva a valicare l’asticella a 4.30, il suo personale. A metà degli anni Ottanta inizia ad allenare, la Biumense è diventata Nuova Atletica Varese, Pilori si specializza subito nell’asta.

“Il salto con l’asta è una specialità a sé, quasi uno sport a sé” racconta oggi Fabio. “E’ uno sport acrobatico, richiede una preparazione particolare, specifica.”

Si forma un gruppo di astisti davvero formidabile. Cominciano Flaviano e Mauro Crespi, due fratelli di Castronno che superano i 5 metri (Flaviano 5.20 e Mauro 5.00) e Alessandro Cambon (5.10). Davide Bressan arriva a 5.30, Giorgio Ardenti a 4.90.

A metà degli anni Novanta viene introdotto il salto con l’asta femminile. Chiara Martegani, classe 1978, è due volte campionessa italiana Under 23, ottenendo un personale di 3.85.

Arianna Farfalletti Casali, nata a Sorengo, vicino a Lugano, il 22 giugno del 1976 ma presto trasferitasi a Brebbia, inizia con la ginnastica artistica, che pratica con ottimi risultati sino a 21 anni, poi passa al salto con l’asta. Raggiunge per 6 volte la maglia azzurra, il suo primato è 4.31, è stata due volte campionessa italiana, nel 2000 (con 4.20) e nel 2003 (con 4.30).

“Arianna è veramente una eccezione” racconta Pilori. “Ottima ginnasta, ma aveva dentro anche i talenti per praticare il salto con l’asta, si trattava solo di farli emergere.”

Molto brava anche Giulia Carnielli, che arriverà a 4.25.

Fabio Pizzolato è nato a Varese il 16 marzo del 1975. 7 volte in nazionale, il 6 luglio del 1997 ha dapprima eguagliato il record italiano di Gianni Iapichino (5.70) e poi lo ha superato (5.75). E’ stato due volte campione italiano all’aperto (1997 e 2003) e una volta indoor (1998).

Fabio Pilori ha sempre seguito i suoi atleti come coach, anche quando la Farfalletti e Pizzolato hanno cambiato società. E’ ancora allenatore a livello nazionale, nonché tecnico nel Cus Insubria.

“Il salto con l’asta è uno sport acrobatico, è pericoloso praticarlo all’aperto al freddo, d’inverno. Per fortuna dal 2019 Varese ha un impianto al coperto, molto bello, al campo scuola ‘Bellorini’. Si tratta ora di trovare ancora un gruppo formidabile come quello di Pizzolato, Farfalletti e gli altri.”

Fabio Pilori in maglia Biumense agli esordi della sua carriera, nel salto in alto.
Fabio Pilori, ultimi salti con l’asta al ‘Franco Ossola’ di Masnago.
Un formidabile gruppo di astisti varesini.
Chiara Martegani, campionessa italiana under 23.
Arianna Farfalletti con il coach Pilori.
Arianna Farfalletti, dalla ginnastica artistica al salto con l’asta.
Arianna Farfalletti, primatista italiana.
Arianna Farfalletti è costretta a lasciare l’atletica.
Intervista ad Arianna Farfaletti Casali
Fabio Pizzolato, primatista italiano: solo Giuseppe Gibilisco (5.90) e Claudio Stecchi (5.82) in Italia hanno fatto meglio di lui.

13 Sergio Castelli, specialista dei lanci

Se vi recate al campo atletica ‘Bellorini’ di Calcinate lo trovate lì, zona sud del campo, dove c’è la rete per i lanci (disco e martello), dove ci sono le pedane del peso e del giavellotto. Chi trovate? Sergio Castelli, classe 1960, docente di educazione fisica ed ex velocista, allenatore del settore lanci della Varese Atletica.

Castelli viene dal canottaggio, pratica lo sport sul lago sino a 18 anni ma nel cuore ha l’atletica, ama la velocità, fa buone cose ai Giochi della Gioventù alla media Pellico di Varese (prof. di ginnastica Quatrale) e alle superiori dove, nel 1979, ultimo anno, anno di maturità, raggiunge anche la maturità da velocista vincendo con altri tre compagni la staffetta 4×100 alle finali nazionali dei Campionati Studenteschi di Genova.

La stagione agonistica 1978/79 è molto importante per lui, perché oltre alla vittoria già segnalata decide di entrare alla Biumense (stando ai suoi ricordi è l’ultima stagione agonistica della Biumense, che diventerà poi Nuova Atletica Varese) e lì incontra Bruno Pinzin che allora allenava tutti, maschi e femmine, dalla resistenza alla velocità ai salti ai lanci.

Come atleta Castelli fa buone cose sui 100 (personale 11”40) e sui 200, continua per qualche anno poi passa al rugby ma mantiene i contatti con la pista di Calcinate e nel 1986 Pinzin e Balsamo gli chiedono se vuole collaborare come allenatore, principalmente nel settore dei lanci, allora curato da Beppe Balsamo, che seguiva anche i salti.

“Così ho iniziato la mia carriera da allenatore” racconta oggi Castelli. “Prima allo stadio ‘Ossola’, con molte difficoltà, anche se alla fine ci era stata data la possibilità di lanciare nell’antistadio. Poi con il nuovo impianto di Calcinate le cose sono andate meglio. In 35 anni da allenatore ho avuto atleti di buon livello, che hanno conquistato le finali nazionali nelle categorie giovanili. Per una ventina d’anni ho fatto anche l’allenatore dei velocisti: abbiamo avuto nei primi anni Duemila Fabio Ossola che ha vinto i Campionati italiani ‘cadetti’. Ora i velocisti della Varese Atletica sono seguiti da Eugenio Biasin. Per ciò che riguarda i lanci, attualmente abbiamo Gionata Dalla Fiore che ha lanciato 68 metri con il giavellotto, 14^ prestazione italiana, mentre nel peso Francesco Mazzoccato, che gareggia per Gavirate ma che alleno io, al secondo anno junior, con il peso da 7 kg., lancia 14.40. E’ stato campione italiano cadetti.”

Sergio Castelli (al centro) in una prova di velocità al ‘Franco Ossola’ di Masnago.
Marzo 2006 Ancona Campionati italiani Master indoor: Sergio Castelli ai blocchi di partenza.
Francesco Mazzoccato, campione italiano ‘cadetti’ nel getto del peso.
Ancona Campionati italiani indoor junior-promesse: Francesco Mazzoccato è medaglia d’argento nel getto del peso. Eccolo con il suo coach Sergio Castelli.

14 Alberto Cadonà e l’atletica a Malnate

L’atletica a Malnate deve molto al prof. Alberto Cadonà, docente di educazione fisica e ottimo tecnico di atletica.

Come tanti altri a Varese, Cadonà deve i suoi esordi in pista e sui prati del cross al professore dell’Itis, Massimo Begnis. E’ lui ad invogliarlo a tesserarsi per la Biumense, dove emerge per le sue doti di mezzofondista. E’ allenato da Gianni Bellorini, migliori risultati come allievo un 51” alto sui 400, 2’40” nei 1000, da junior 6’12” nei 2000 siepi, 3’59” sui 1500 e 1’57” sugli 800. Ripensando agli anni della Biumense, il prof. Alberto ha parole di stima soprattutto per Alessandro Frè, un dirigente davvero in gamba. “E’ lui che ci accompagnava alle gare” ricorda, e non può tralasciare di fare memoria di un episodio, che qui è stato proprio Frè a coccolarsi, rivivendolo. Alludiamo alla finale dei Campionati italiani staffetta ‘allievi’ 3×400, la Biumense schiera Marchiori, Rossetti e, appunto, Alberto Cadonà: titolo e record italiano. Emozioni che non si dimenticano.

Ed è proprio il prof. Alberto Cadonà a farci la cronaca: “Era domenica 18 ottobre 1970. Abbiamo da poco ottenuto il nuovo record italiano ma vi sono almeno due società molto forti. Siamo in sesta corsia, non proprio la migliore, parte Luigi Rossetti e cambia con me in prima posizione, io cerco di tenere ma al termine del mio giro la Biumense è terza, tocca a Domenico Marchiori, il più forte di noi tre. Viene stretto al cambio, perde qualche metro, ci sono dieci metri da recuperare ma Domenico in 100 metri chiude il buco, rifiata un po’ e poi stacca tutti; 2’36” e 8, nuovo record italiano. E’ il secondo titolo nazionale per la Biumense, dopo quello junior nella campestre ottenuto da Guglielmo Moroni.”

Dalla Biumense Cadonà passa poi alla Pro Patria San Pellegrino, dove contribuisce alla vittoria di Società nel titolo italiano di cross. Purtroppo il tendine d’Achille spesso si infiamma, e ciò condiziona i suoi risultati. Al 2° anno Isef abbandona l’agonismo, ma non l’atletica.

Agli inizi degli anni Settanta nasce l’AICS Atletica Malnate. Con gli anni Novanta nasce la collaborazione con l’Atletica Varese per il settore maschile, la Nuova Atletica Varese per quello femminile. A Malnate ci si allena sino alla categoria ‘cadetti’, dagli allievi in avanti si passa a Varese.

Attualmente Cadonà continua ad allenare sia a Malnate che al Cus Insubria Varese-Como.

Propongo questo articolo, apparso sul libro ‘La Cava’, scritto da Alberto Cadonà e che bene illustra la storia più recente dell’atletica a Malnate.

Voglio portare il contributo delle mie conoscenze ed entrare nel campo della storia dell’Atletica MALNATE. Una considerazione iniziale che ritengo importante: anche la storia dello sport è storia dell’uomo. L’atleta è più vero, più completo, più motivato, se conosce le sue radici.

La storia dell’atletica Malnate fa parte della storia della atletica locale: fatti, persone, dirigenti ed atleti che hanno contribuito al dinamismo che da sempre ha caratterizzato il nostro paese e che talvolta l’ha portato anche alla ribalta nazionale.

Non voglio parlare della storia antica e del cross di Malnate, nato ai primi del ‘900. Per quanto ne so io, quel meraviglioso mondo ha chiuso con la scomparsa di personaggi illustri che io ricordo (alcuni). Luigi Caccivio, Tommaso Butti, persone eccezionali loro e tanti altri, leggibili su documenti storici. Antonio Sassi, sul volume LA CAVA del 2005 ne fa una trattazione splendida, imperdibile per chi ama la storia.

La storia che voglio brevemente raccontarvi io è quella recente, quella della nostra società, che è arrivata ad essere quella che è ora. 

Ricordo bene, la nostra Atletica Malnate è nata nel 1971. Io giovanissimo atleta ed esponenti politici di allora, in un incontro casuale ad Alba di Canazei durante un campeggio estivo del CAI di Malnate.

L’idea di far correre i Malnatesi venne realizzata subito. Un boom di atleti. Era nata l’AICS MALNATE.

Per un decennio circa l’AICS MALNATE (fino alla fine del 1978) riportò la cultura del correre e poi del fare tutta l’atletica leggera (le altre specialità) prima in ambito locale ma quasi subito anche a livello nazionale. Di quegli anni ricordo un atleta su tutti: Gaetano Buzzi, crossista juniores di livello nazionale, capace di fare un record Italiano Allievi dei 2000 metri con siepi.  In quegli anni eravamo fortissimi, soprattutto nel cross. Ricordo un Campionato Italiano di Società categoria allievi, rischiammo quasi di vincerlo: con Buzzi in squadra fior di atleti, Marco Ponzoni, Michele D’Ambrosio, Enzo Valerio tutti allievi capaci di correre i 2000 metri appena oltre i 6 minuti.

Nel 1979 la nostra Società cambiò nome e sponsor: diventammo l’Atletica Varesina “Amici della natura”. Il nostro bel logo nacque in quegli anni dalla fervida immaginazione di Achille Motta. Diventammo poi sempre come Atletica Varesina,“Barba delle gomme” del mitico presidente Lucani Gerardo, diventammo “Turbo Tubi”,  “Castellini”, “Diamond Market”, Si avvicendarono  eccellenti Presidenti come Franco Facchini, Cappellozza, Benito Turra ed altri ancora, fino all’attuale presidentissimo: l’insostituibile Valerio Romanò che riportò il nome della società all’attuale Atletica Malnate.

 In quegli anni, come atletica Varesina, facemmo grossi risultati. Il miglior atleta espresso da sempre è di quel periodo: Ombretta Volpe, 4 titoli italiani giovanili e quattro maglie azzurre, partecipò negli anni 80 ai mondiali Juniores di Plovdiv (1990) e agli Europei di Varazdin (1989). Ombretta da junior correva i 400hs in 59” e poco poco, ed è tutt’ora nelle prime 10 juniores di sempre in Italia nei 400 ad ostacoli.

Ecco i suoi personal best: 100m 12”18, 200m 24”64, 400m 56”78. negli 800m correva intorno ai 2’16”.

Nel 1984 Ombretta Volpe, Fausta Rasetti e Monica Di Grazia vinsero i Giochi della Gioventù di corsa campestre, finale nazionale ad Orvieto.

Altro enorme talento è stato Luigi Pignatiello, 2 maglie azzurre giovanili, corridore capace di correre da cadetto i 2000 metri in 5’54” e di vincere il titolo italiano su tale distanza; capace di correre i 1500m da allievo in 3’59”. Passato da juniores alla Forestale e con un personal best sugli 800m di 1’48”54 è stato per anni atleta di valore assoluto nazionale.

Nella corsa, da sempre Malnate esprime corridori capaci di emergere in campo nazionale. Diventerebbe lunga e forse stancante dover menzionare tutti, pertanto cito solo chi a mio parere è arrivato a notevoli risultati:

  • Mauro Lucchina da allievo arrivò 7° ai campionati italiani sui 3000 col tempo di 8’48”4. Era il 1983. In carriera corse i 1500 in 3’56” e i 5000 metri in 14’54”. Non entrò nel giro della nazionale juniores di cross per una banale frattura ad un dito di un piede.
  • Negli anni ’90 … un po’ prima e un po’ dopo, tanti talenti al femminile nella corsa e nelle categorie giovanili, circa una decina di ragazze capaci di correre i 1000 metri in tempi sotto i 3’20”, tra loro
  • Fausta Rasetti da cadetta corse i 1200 metri in 3’55”7
  • Elena Monetti da cadetta corse i 1000 metri in 3’06”8

 In tempi piu recenti:

  • Lorenzo Beati  800m in 1’53”30 (6° ai campionati italiani juniores nei 400 in 49”11)
    • Federico Bianchi 800m in 1’53”80,  6° ai campionati Italiani juniores
    • Alfredo Antollini 800m in 1’54”17 e 1500m in 3’54”80 finalista italiano promesse.

Anche nel settore della velocità Malnate vanta notevoli risultati.

Al femminile. Oltre a Ombretta Volpe, anche Raffaella Gandini vanta una notevole carriera: un titolo italiano nella 4×100 Juniores (con Ombretta Volpe) ed un terzo posto nei 200 metri ai campionati Italiani Promesse.

Al maschile Lorenzo Valli, capace di correre i 100 metri in 10”81 e Donaldson Kouassi solo qualche anno fa corse sempre i 100m in 10”73.  Da citare anche Moreno Ceccon che nei 400 metri vanta un personale di 49”56.

Arriviamo, per sintetizzare agli anni attuali: mi scusino gli altri ma…  2 belle bandiere, non vincenti ma atleti apprezzati a livello nazionale 2 mezzofondisti, Amos Bianchi  800ista di livello nazionale  assoluto (1’52”28) con prestazioni di vertice nella corsa su strada e Gaia Pigolotti promessa tra le migliori in Italia, spesso sul podio nei campionati italiani sia negli 800m che nei 1500.

Mattia Grammatico, atleta dal talento fine ma altrettanto fragile sta raggiungendo ora notorietà e sicuri risultati nelle corse su strada, ottima prestazione nella Stramagenta 10 km su asfalto difficile col tempo di 33”17. Stefano Frascoli, avvocato runner, altro nome di vertice nelle corse su strada ora alla ricerca di prestazioni cronometriche di livello sugli 800 e 1500 metri.

 Oltre a loro abbiamo al campo atleti ed atlete che stanno crescendo, e non poco, una nuova generazione che crediamo si farà notare nel futuro anche a breve termine. Non facciamo nomi … per scaramanzia,

faremo il punto a fine anno.

Loro e tutti i compagni di allenamento rendono la nostra Società ricca di vita, al campo si viene volentieri, si fatica in armonia. Anche i piccolini, numerosissimi sono uno spettacolo da apprezzare.

Il tutto per la gioia del nostro Presidentissimo Valerio Romanò.

Fa parte della nostra storia anche un altro fatto: sul campo malnatese è nata la passione di tecnici eccellenti, allenatori/educatori che vanno per la maggiore: Silvano Danzi è nato e cresciuto con noi, è stato allenatore della nazionale di mezzofondo ed ora responsabile regionale. Raffaella Gandini allenatrice attualissima che fa parte dello staff della regione Lombardia. Tina Rizzo, brava ed appassionatissima allenatrice e trascinatrice dei piccoli è stata atleta nostrana di valore.

La storia dice che il mondo dell’atletica è carente di tecnici, di allenatori.  Noi siamo in controtendenza.

Ma ciò che è bello è che la nostra cultura sportiva continua: una nuova sfornata di laureati in Scienze Motorie: Amos Bianchi, Fabiana Grammatico, Martina Monaco, Roberto Chiodo e Marco Cavallasca agli inizi della carriera tecnica.

Il dott. Matteo Bonato, atleta e tecnico milanese, docente universitario si è allenato ed ha completato la sua crescita tecnica nella nostra scuola.

Alberto Cadonà impegnato in una corsa campestre.
La staffetta 3×400 della Biumense vince a Formia i Campionati italiani ‘allievi’. Cadonà è al centro. Si notino le tute della Biumense, siamo nel 1970.
Alberto Cadonà (con il collega Eugenio Lelii) nell’aprile del 2016, premiato in vista della pensione, dopo oltre 40 anni di insegnamento, sul podio al campo ‘Bellorini’ di Calcinate.
Un gruppo di atleti di Malnate e del Cus Insubria, le due società che vedono Alberto Cadonà (primo a destra) impegnato come allenatore.
Un gruppo di promesse dell’Atletica Malnate.

15 Silvano Danzi e il piccolo Kenia in Valceresio

Arcisate, cuore della Valceresio: c’è chi l’ha ribattezzata il piccolo Kenia della Lombardia, come Brinzio è il piccolo Tibet. Piccolo Kenia perché? Perché in questa valle stretta, non di rado piovosa, sono cresciuti molti mezzofondisti, che hanno raggiunto livelli nazionali e anche di più; per meriti propri, ma anche per l’aiuto che hanno ricevuto da un tecnico valceresino che oggi qualcuno chiama guru del mezzofondo: Silvano Danzi. Nato il 20 febbraio del 1962, incontra l’atletica leggera alla scuola media di Viggiù, dove insegna educazione fisica quell’Alberto Cadonà che già conosciamo. Tesserato per l’Atletica Malnate, Danzi si distingue nel mezzofondo, con risultati più che accettabili: 4’07” nei 1500, 9’01” nei 3000, 15’56” nei 5000. La passione per l’atletica e lo sport lo inducono ad iscriversi all’Isef. Arriva ad Arcisate come docente di educazione fisica alla scuola media ‘Benigno Bossi’ a metà degli anni Ottanta. Gli alunni di quella scuola media vengono a contatto con un prof. davvero innamorato di questo sport, che valorizza tutti e che porta i migliori ad ottimi livelli, tanto che la media di Arcisate raggiunge spesso le finali nazionali dei Giochi della Gioventù, sia nella corsa campestre che nell’atletica su pista. Docente aperto al nuovo, nel 1999 organizza la prima edizione della staffetta scolastica ‘Luigi Andolfatto’, una entusiasmante e coinvolgente staffetta 12×1000, che si corre sull’anello di 200 metri dell’impianto dedicato a ‘Virna Martinenghi’, zona industriale di Arcisate.

Nel corso degli anni, sotto la guida di Danzi raggiungono il vertice atleti quali i fratelli Maffei, Giuseppe e Davide (di Giuseppe detto Beppe parleremo in dettaglio più avanti, il fiore all’occhiello, sino ad oggi, fra gli atleti di Silvano), Paola Vignati, Angelo Giardiello, Luca Merighi, Silvia Oggioni, Dario Ceccarelli, Devis Licciardi, tanto per citare i più rappresentativi. Di Roberto Calandro parleremo nel capitolo della corsa in montagna. La più interessante promessa recente, allenata da Silvano, è Pietro Arese, mentre promette davvero bene un allievo, Manuel Zanini, tesserato per l’Atletica Gavirate e già tenuto d’occhio molto accuratamente dal guru valceresino.

Dal 2005 al 2012 il prof. Danzi è stato, in coppia con Pierino Endrizzi, tecnico del mezzofondo a livello nazionale. Terminato quell’incarico, oltre all’insegnamento nelle scuole medie e a livello universitario, Silvano ha dato vita al College del mezzofondo all’Università dell’Insubria, unico in Italia.

Coach della corsa lunga anche alla Varese Atletica, è stato punto di riferimento per molti anni per l’Atletica Arcisate, nata nel paese della Val Ceresio nel 1985, grazie ad Enrico Gaspari e ad Ido Reginato, primo sponsor con la ditta Lane La Rocca.

L’Atletica Arcisate ha iniziato la sua attività di promozione dell’atletica leggera con gli amatori, impegnati nelle tapasciate domenicali (soprattutto il Piede d’Oro), sviluppando in seguito anche il settore giovanile proprio grazie a Silvano Danzi, trovando di volta in volta sponsor appassionati e generosi. Attualmente è il GS Miotti.

Organizza da una ventina d’anni un cross valido per i Campionati regionali di Società Fidal, che raduna oltre 1500 atleti.

Nel 2003 l’Atletica Arcisate ha vinto il titolo italiano allievi nel cross e nella strada, e nel 2006 il titolo italiano juniores nel cross.

Attualmente sono iscritti all’AA un centinaio di atleti.

La famiglia Maffei di Arcisate molto ha dato all’atletica varesina. Si comincia da papà Sabino, grande sportivo, iscritto al Marathon Club Varese, partecipa a diverse maratone e si distingue anche nella pratica dello sci nordico. Anche il figlio Giuseppe inizia dagli sci sottili. Nato a Varese il 28 gennaio del 1974, Beppe dimostra subito di avere un fisico d’eccellenza, ottimi i risultati sulla neve. Ma la neve non scende più per anni nel nostro territorio, così Beppe continua a correre come attività presciistica, e corre veloce. Se ne accorge subito il suo prof di ginnastica alla media ‘Benigno Bossi’ di Arcisate, Silvano Danzi. E i risultati arrivano: terzo alle finali nazionali dei Giochi della Gioventù. Iscritto prima all’Atletica Malnate e poi all’Atletica Arcisate, dai 14 anni in avanti le gare (fra cross e pista) si sommano e le vittorie pure. Durante gli anni universitari a Milano, Giuseppe viene tesserato per la Snam, che gli offre un appartamento a San Donato Milanese. L’anno di militare correrà per le Fiamme Azzurre. Gli anni d’oro per lui coincidono con la fine del Secolo. Nel 1998 è Campione italiano indoor nei 3000, nel 1999 è 10° ai Campionati mondiali di Siviglia sui 3000 siepi, la sua specialità d’elezione. Sempre in quell’anno d’oro vince i Campionati mondiali universitari a Palma di Majorca e stabilisce il suo personal best l’8 agosto a Colonia, 8’11”65 sui 3000 siepi, un tempo che lo porterebbe sul podio alle Olimpiadi. Purtroppo le sue due esperienze olimpiche sono segnate da problemi fisici, una microfrattura che ne condiziona i risultati. Sia a Sydney 2000 che ad Atene 2004 non riesce a superare lo scoglio delle batterie dei 3000 siepi. Accreditato anche di un 3’42”2 nei 1500 e di un 7’50” nei 3000, due volte terzo in Coppa Europa e una volta terzo ai Giochi del Mediterraneo, Beppe Maffei si ritira a 34 anni, dopo aver vestito decine di volte la maglia azzurra, nelle diverse categorie.

Degna di nota anche la carriera del fratello Davide, nato a Varese il 9 febbraio del 1976. Si distinguerà soprattutto nei 5000, con il pb ottenuto nel 1998 a Conegliano, 13’44”74.

Silvano Danzi vince a braccia alzate una corsa campestre. Al traguardo, di spalle, un giovane prof. Enrico Pellegrini.
Silvano Danzi (a destra) e Beppe Balsamo, due amici, due grandi tecnici dell’atletica nazionale.
Giuseppe Maffei detto Beppe, fra i migliori siepisti di sempre in Italia, due Olimpiadi e tante maglie azzurre.
Grande spazio sui giornali nazionali per Beppe Maffei.
Da destra: Silvano Danzi, Marco Trevisanut, Beppe Maffei e Carmine Pirrella.
Silvano Danzi guida un suo atleta nel ritiro di S.Moritz.
Dicembre 2018: una delle molte corse campestri sul bellissimo percorso della Lagozza di Arcisate, organizzate dalla locale Società di atletica, canottiera azzurra e tanto entusiasmo
22 dicembre 2021: freddo e buio non fermano i giovani atleti di Arcisate. Fra gli allenatori anche Stefano Zampini, componente della staffetta 4×100 della media ‘Vidoletti’, vincitrice delle finali nazionali dei Giochi Sportivi Studenteschi, Rieti 2009.

16    Carmine Pirrella e il ‘fenomeno’ Gavirate

Nel 1991 nasce l’Atletica Gavirate. E nasce grazie alla passione di un ventenne, in verità nemmeno un ex atleta (ha praticato atletica solo un paio d’anni, quando era molto piccolo) e non è nemmeno il solito prof di ginnastica. Si tratta di un operaio che lavora a Ternate ma è di Gavirate: Carmine Pirrella. Classe 1971, a vent’anni sente il desiderio di fare qualcosa di utile e bello, pensa di lanciarsi nel settore atletica leggera. Parte da una constatazione: Gavirate ha un bel campo di calcio, corredato da una pregevole pista di atletica leggera, che nessuno usa e che sta andando in malora. La struttura è nata negli anni Ottanta, quando il boom economico faceva sì che molti paesi riuscissero a rifare il campo di calcio, completandolo con pista e pedane per l’atletica leggera. Era un po’ una moda. Così sono nati impianti a Maccagno, a Ispra, altrove. Perché questa incuria a Gavirate? Siamo forse a Vieste dove (chi è stato all’inizio del nuovo millennio lo sa) un impianto sportivo degno di una Olimpiade giace invaso dalle erbacce? Niente affatto. Pirrella rompe le scatole ai politici e a chi di dovere e infine riesce ad ottenere una sezione di atletica nella locale squadra di calcio: nasce così, nel 1991, l’Atletica Gavirate.

“Gli esordi non sono stati facili” racconta oggi Carmine, che ha cinquant’anni e compie trent’anni la ‘sua’ società. “Dieci anni duri, i ragazzi erano pochi, accoglievo ragazzi dei Centri sociali, ragazzi non facili, ‘scarti’ del calcio – uso un’espressione impropria, giusto per capirci –  i risultati agonistici erano quello che erano. Ma non era il mio fine, il mio era soprattutto un intento educativo. E’ stata per me una scuola di vita molto importante.”

Con Pirrella c’è anche Andrea Roncari, classe 1971 anche lui, questo sì un atleta, un velocista dell’Atletica Varese, agonista sino ai trent’anni, allenato da Beppe Balsamo: una grande amicizia fra i due, una passione comune, Roncari è meno presente per motivi di lavoro ma è un’altra anima dell’atletica a Gavirate.

Le cose, da un punto di vista dei risultati agonistici, cambiano quando nel 2004 arrivano in società alcuni ragazzi del ‘91 davvero molto dotati: il lunghista Camillo Kaborè (personale di 7.74), l’altista e velocista Matteo Rossetti, il mezzofondista Francois Marzetta (8’46” sui 3000 siepi), tanto per fare tre nomi, ma anche Silvia Oggioni, Jacopo Peron, altri ancora. Ragazzini che ogni allenatore vorrebbe avere: bravi sotto tutti i punti di vista. Così arrivano i risultati, le buone prestazioni, gli articoli sui giornali, la voce che a Gavirate si fa atletica sul serio, in un ambiente accogliente, che mette l’agonismo e la vittoria dopo altri valori; così ogni anno aumentano di un venti per cento le iscrizioni, ex atleti di Gavirate diventano allenatori a loro volta, nascono collaborazioni con le società vicine: Varese, Malnate, Tradate. Nasce il ‘fenomeno Gavirate’.

“Non parliamo di fenomeno” dice Carmine Pirrella. “Certo di strada ne è stata fatta. Per fortuna nel 2018, dopo molte insistenze, hanno rifatto la pista e le pedane, in tartan, davvero molto belle. Sono felice di poter collaborare con allenatori come Balsamo, Danzi, Castelli, Cadonà. Il nostro progetto è stato adottato dalla Varese Atletica. Gli atleti restano a Gavirate sino alla maggiore età, poi passano a Varese. Sono felice di vedere miei ex atleti ora nostri allenatori, come la nutrizionista Alice Kaborè, Francesco Scagni.”

Molte immagini si trovano sul sito dell’Atletica Gavirate, a dimostrazione del tanto lavoro e dei molti sorrisi dei ragazzi che hanno incontrato l’atletica leggera sulle rive del lago di Varese. Molti i video in rete, compreso quello che testimonia la dichiarazione di matrimonio, avanzata dall’allenatore Piergiovanni Micale ad Alice Kaborè, una dichiarazione d’amore eterno ‘proclamata’ solennemente al campo di atletica, grazie alla collaborazione di alcune allieve dei due coach.

Nuovi atleti si stanno mettendo in evidenza. Un nome su tutti, Manuel Zanini, che vince fra i ‘cadetti’ nel mezzofondo, tesserato dapprima con Arcisate ma oggi all’Atletica Gavirate, allenato da Silvano Danzi. Grazie anche all’effetto Jacobs, Tortu, Tamberi e alla 4×100 che ha vinto alle Olimpiadi di Tokyo in questo 2021, le iscrizioni dei ragazzini sono aumentate del 50%, obbligando Pirrella a non poterne più accettare.  

Carmine Pirrella con alcune giovani promesse dell’Atletica Gavirate.
            Carmine Pirrella con alcuni atleti gaviratesi.
Camillo Kaborè, fra i migliori atleti cresciuti a Gavirate, eccellente saltatore in lungo.
Camillo Kaborè, da Gavirate alla maglia azzurra.
Silvia Oggioni, grande mezzofondista allenata da Silvano Danzi, ha iniziato la sua avventura atletica sulla pista di Gavirate.
Commovente video per i 30 anni dell’Atletica Gavirate.
Camillo Kaborè al rallenty: 7.74 nel lungo.

17   Angelo Summa e l’atletica a Tradate

Angelo Summa, classe 1963, viene da Busto Arsizio, ama l’atletica e soprattutto le corse lunghe e lunghissime. Tesserato per la Pro Patria di Busto, le sue distanze vanno dalla mezza maratona alla 100 km. Ha personali di tutto rispetto, 2 ore e 51’ nella maratona e 9 ore e 04’ nella cento chilometri. Niente male. Il matrimonio lo porta a Tradate. Continua ad allenarsi, spesso corre sulla pista dell’impianto tradatese, costruito intorno agli anni Ottanta. Della vecchia società di atletica Libertas Tradate è rimasto solo il ricordo. Perché non riportare l’atletica leggera in questa zona, che può vantare un impianto, sebbene un po’ deteriorato? Summa, grazie anche ai buoni rapporti con la vicina Malnate, si fa promotore della Diamond Market Varesina, una società che unisce Malnate e Tradate. Le cose vanno presto bene, grazie soprattutto ad un gruppo di atleti che fanno da traino, in particolare Sara Speroni, capace di 7’16” sui 2000 siepi. I ragazzini arrivano, i tesserati aumentano. Nel 2002 la scelta di staccarsi da Malnate e fondare una società solo tradatese: nasce l’Atletica Tradate.

“La scelta territoriale ha pagato” racconta oggi Angelo Summa. “Una scelta fatta all’inizio soprattutto per ragioni economiche, la possibilità di usufruire gratis degli impianti sportivi. Grazie alla mia presenza anche in Consiglio comunale, è stato poi possibile nel 2016 mettere a nuovo il fondo, con una pista e pedane in tartan. Nel 2018 abbiamo organizzato un Campionato Regionale cadetti, due giorni con centinaia di atleti, una bella soddisfazione per una società nata da pochi anni.”

Già, numeri in crescita, ragazzi felici sulle piste e sulle pedane, e poi il boom dovuto in parte al Covid (quindi valorizzate le attività all’aperto) e la ciliegina sulla torta, i successi dell’atletica a Tokyo 2021, quindi iscrizioni in massa di ragazzini.

“Abbiamo fra i 130 e i 150 tesserati, copriamo praticamente tutte le categorie anche se un gemellaggio con Gavirate e con Varese Atletica ci permette di condividere gli atleti più promettenti, soprattutto dagli allievi in su.”

Quando si tratta di ricordare gli atleti di punta dell’Atletica Tradate, coach Summa fa notare che, proprio grazie alla collaborazione fra le varie società, atleti eccellenti hanno cominciato da ‘cadetti’ a Tradate, per passare poi a Gavirate, a Varese. Uno di questi è Jacopo Peron, del quale si parlerà più avanti, che ancora si allena a Tradate, e che qui ricordiamo perché è ancora il detentore, dal 2013, del record italiano ‘allievi’ sui 600 con 1’19”20. Peron, classe 1996, ha avuto sempre a Tradate un compagno di squadra di pari livello ma di diversa nazionalità, il tedesco Philip Lonmon, un mezzofondista da 1’50”72 sugli 800, 2’27” sui 1000, 3’59”98 sui 1500, tutti ottenuti nel 2013, suo anno di grazia. Peron e Lonmon hanno disputato insieme anche una edizione dei Mondiali di categoria, uno per l’Italia e l’altro per la Germania. Molto brave anche le sorelle di Philip, Sara e Ariane.

Se poi andiamo in campo femminile, ecco che spicca il nome di Sara Speroni, Classe 1984, è stata vicecampionessa italiana allieve sui 2000 siepi (6’53”54), ha vestito la maglia azzurra alle Universiadi in Algeria e ha un ottimo 36’54” sui 10 km in strada.

Sara Speroni, grande interprete delle siepi e della corsa su strada
Philip Lonmon, ottimo mezzofondista tedesco-tradatese che ha gareggiato sia in Italia che in Germania.
Jacopo Peron e Philip Lonmon, allo stesso Mondiale ma per nazioni differenti, mandano i saluti al loro coach Angelo Summa.

Come a volte succede, quando le cose vanno bene possono nascere situazioni che portano a divisioni. Tre allenatori dell’Atletica Tradate hanno deciso di fondare una nuova società, che entrerà nell’elenco Fidal a partire dal gennaio 2022, ‘Tigers Atletica Tradate’.

Melius abundare quam deficere, l’Atletica Tradate ha trovato tre nuovi, giovani allenatori, si condividono gli spazi senza sgomitare, Tradate oggi può vantare ben due società di atletica.

Angelo Summa impegnato nella 100 km del Passatore
Maggio 2019: l’impianto di Tradate, rinnovato, ospita la fase provinciale dei Giochi Sportivi Studenteschi di atletica leggera ‘cadetti’.
Le nuove leve dell’Atletica Tradate.
Il lavoro di Angelo Summa e dei suoi collaboratori dà buoni frutti a Tradate.

18   Nasce Varese Atletica

1993, la Nuova Atletica Varese diventa solo femminile, nasce l’Atletica Varese per la sezione maschile. Primo presidente Varani, poi toccherà a Stefano Giani, che unisce i due ruoli, un presidente/atleta marciatore che ancora dice la sua su pista e su strada in ambito provinciale, regionale e nazionale.

Nel 2004 l’Atletica Varese, valutata la difficoltà nel reperire fondi e sponsor, bussa alla porta del CUS, Centro Sportivo Universitario legato all’Università dell’Insubria.

Ci aiuta a ricostruire questo passaggio il già citato Roberto Bobo Gervasini: “Soldi non ce n’erano, così pensai all’ambiente universitario perché conoscevo Alessandro Castelli, mio compagno di 800 in Snia e presidente del Cus Milano. Sandro era anche nel Consiglio nazionale del Cus. Grazie a lui e a Stefano Giani, che avevo come alunno al liceo e che invogliai a praticare atletica, l’atletica leggera varesina trovò uno sponsor e fu la prima disciplina del neonato Cus Insubria.”

Nasce così il Cus dei Laghi Varese-Como, presidente Eugenio Meschi.

Seguono quindici anni di buona collaborazione, nel 2015 nasce il Campus Sportivo a Bizzozero, il Cus dei Laghi diventa Cus Insubria Varese&Como.

Nel 2019 una nuova scissione: la maggior parte dei tecnici storici (Balsamo, Danzi, Castelli…) danno vita ad un nuovo sodalizio, la Varese Atletica, presidente un ex atleta, Emanuele Càlveri.

Altri tecnici qualificati e di grande esperienza (Cadonà, Pilori, Franzini..) restano al Cus Insubria.

Ed eccolo il neopresidente di una delle società più giovani della nostra provincia, cioè la Varese Atletica. Si tratta di Emanuele Càlveri, classe 1985, un passato da quattrocentista nella Atletica Varese, allenato da Beppe Balsamo, poi l’Università all’Insubria, laurea in Economia, e i primi incarichi come dirigente nel consiglio della sezione Atletica del Cus. A seguire l’incontro con il vulcanico Carmine Pirrella, il cammino nel consiglio dell’Atletica Gavirate, quindi l’ultimo passo, la fondazione (con Carmine Pirrella, Luciano Genovese…) della Varese Atletica.

Il giovane presidente non vuol sentir parlare di scissione, di divisione; da buon politico smorza i toni, parla piuttosto di una ‘trasformazione’.

“Non è cambiato nulla da quello che facevamo come Cus Insubria Varese&Como” precisa Càlveri, ma non può negare che due coach di alto livello (e cioè Alberto Cadonà e Fabio Pilori) sono rimasti al Cus.

“Una società che desidera durare nel tempo, un’equipe lungimirante” dice il presidente “deve curare molto il settore giovanile, ed è quello che fa Varese Atletica, potendo contare sull’ottima collaborazione con l’Atletica Gavirate, con l’Atletica Tradate di Angelo Summa, con la bella esperienza di Cantello, grazie a Brigitte Jesu. Ottimi rapporti anche con la Nuova Atletica Varese di Bruno Pinzin, con la quale condividiamo i tecnici.”

Ma sulla valorizzazione del settore giovanile punta anche il Cus Insubria Varese&Como, come ci testimonia colui che coordina il settore atletica del Cus, e cioè Fabrizio Anselmo. Classe 1959, piemontese di nascita, comasco di adozione, è stato ‘azzurrino’ a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Vanta personali di 1’51”7 sugli 800 e 3’49”4 sui 1500, una carriera terminata in Snam nel 1987¸ quindi un impegno come allenatore, anche a livello nazionale, e infine la cura del settore femminile del Cus dei Laghi.

“Dopo la divisione fra Varese Atletica e Cus” ci racconta Anselmo “ho preso in mano il coordinamento tecnico di tutta la sezione atletica del Cus, affidando il settore femminile ad Alberto Larice. Il nostro settore giovanile può contare su una settantina di presenze, sotto la guida di Danilo Franzini, e in aggiunta abbiamo l’ottimo contributo che dà l’Atletica Malnate. Alla finale nazionale allievi, lo scorso settembre, siamo arrivati al quinto posto in Italia, un risultato davvero incoraggiante.”

Una foto storica: 1978 – Firenze – Finale dei campionati italiani juniores 1500m – Il primo a destra è Fabrizio Anselmo, il quinto da destra, canotta azzurra Biumense, è Danilo Franzini, il secondo da sinistra, sempre canotta Biumense, è Gabriele Varani. Varani vincerà il titolo.

Tornando a Varese Atletica, gli inizi non sono stati facili, dopo la ‘trasformazione’ del 2019.

“Certo” ricorda Càlveri. “Gli sponsor ci danno una mano, ma la percentuale maggiore degli introiti viene dai tesserati. Ricordo all’inizio, guardavamo ogni giorno il Conto Corrente con il timore di dover aggiungere soldi per non andare in rosso. Ma la nostra scommessa è stata premiata, a poco a poco i ragazzi sono arrivati, dopo tre anni siamo a 120 tesserati per Varese Atletica. Merito sicuramente della qualità dei nostri allenatori: Beppe Balsamo, Sergio Castelli, Silvano Danzi, Eugenio Biasin, grande merito anche alle due allenatrici dei giovani e giovanissimi, Veronica Bossi e Alessandra Fusaro.”

Stefano Magnini, classe 1988, allenato da Giuseppe Balsamo, è fra gli atleti migliori e più longevi della Varese Atletica. Ha un personale di 16.55 nel salto triplo outdoor (Torino, 2015) e di 16.08 indoor (Ancona, 2012), va oltre i 7 metri nel salto in lungo ed è arrivato terzo nel triplo ai campionati italiani assoluti indoor (Ancona, 26 febbraio 2022) a 34 anni. Eccolo a destra, proprio ad Ancona lo scorso mese di febbraio.

Il direttivo di Atletica Varese comprende, oltre al presidente Càlveri, Luciano Genovese (a sua volta presidente dello Sci Nordico Varese), Carmine Pirrella (che già abbiamo conosciuto), l’ex velocista Fabio Ossola e Domenico Cùtuli detto Mimmo, marito di Daniela Cionfrini. E proprio da lui abbiamo altre notizie sull’atletica varesina.

Classe 1969, da sempre appassionato di atletica, scuole medie a Solbiate Arno, dopo qualche anno a giocare a pallone, come la maggior parte dei ragazzi, nel 1984, a 15 anni, bussa alla porta del campo di atletica di Calcinate e lì incontra Bruno Pinzin e la Nuova Atletica Varese, allora ancora unita. Pinzin, fedele a una sua predilezione (le prove multiple) avvia Mimmo e un altro gruppo di ragazzi al decathlon, passando poi gli atleti a Beppe Balsamo. Mimmo viaggia intorno ai 6000 punti, con lui un bel gruppo: Enrico Brisca, Maurizio Stevenazzi, Davide Ferrari. Passa poi al salto in lungo, realizzando quello che è ancora il primato Nav (maschi e femmine insieme): 7.22. Militare nel Gruppo Sportivo dell’Aereonautica, quindi Mimmo si cimenta sugli ostacoli. Un eccellente 14”99 sui 110hs, compagno di allenamento di Ivan Testori, conclude la carriera con i 400hs, 55”72 di personale. Da lui raccogliamo un auspicio: “A mio parere, i tempi sono ormai maturi perché ci si riunisca, maschi e femmine insieme come prima del 1993. E’ questo lo spirito che anima Varese Atletica.”

Una prospettiva senz’altro auspicabile, forse non così lontana.

Brigitte Jesu, eccellente ostacolista, anima dell’atletica a Cantello, preziosa collaboratrice di Nav e Varese Atletica.
Guglielmo Tadini (a destra), classe 1996, figlio di Brigitte Jesu, anche lui ottimo ostacolista in maglia Gavirate e poi Cus Insubria, personali sui 110h di 14″34 (0.91), 15″02 (100), 15″83 (106)
Stefano Giani in maglia Cus Pavia
Besana Brianza, settembre 1973, marcia 15km nell’ambito della Festa dell’Unità: Stefano Giani, con la barba, marcia a centrogruppo.
Stefano Giani, per molti anni presidente di Atletica Varese, continua a seguire l’atletica varesina e a marciare di buona lena.
Parte dello staff di Varese Atletica. Il presidente Emanuele Càlveri è al centro, maglia rossa, occhiali da sole.
Alcuni atleti di Varese Atletica, con la bella maglia del nuovo sodalizio.
La stampa locale è attenta allo sport.
Domenico Cùtuli detto Mimmo, decathleta con predilezione per il lungo e gli ostacoli. E’ ancora suo il primato Nav di salto in lungo: 7.22.

19  Linda Casalini, Daniela Colonna Preti e l’atletica per tutti.

Atletica leggera e disabilità: un mondo complesso, in crescita, in evoluzione, che regala episodi di grande intensità emotiva, che prende la scena soprattutto ogni quattro anni, con le Paralimpiadi.

Si comincia a parlare di sport-terapia dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Sir Ludwig Guttman, neurochirurgo inglese, propose l’attività sportiva per un tentativo di recupero, di miglioramento della qualità della vita nei confronti dei reduci di guerra colpiti da paraplegia. L’Italia ne prese presto l’esempio grazie al dottor Antonio Maglio, che dal 1935 (quando si laureò in medicina) al 1988 (anno della sua morte) dedicò ogni sua energia ai pazienti neurolesi, fondando nel 1957, grazie all’aiuto dell’Inail, il Centro Paraplegici ‘Villa Marina’ ad Ostia, dove fra altri sport si praticava anche l’atletica leggera: corsa con la carrozzina, lancio del peso e del giavellotto. Grazie a lui Roma divenne, nel 1960, la prima nazione ad ospitare le Olimpiadi per persone disabili.

Nel 1964 l’Italia era presente a Tokyo, per quella edizione delle Paralimpiadi che allora si chiamavano ancora Giochi Internazionali di Stoke Mandeville. L’incontro con le esperienze di altre nazioni fece capire che l’Italia non era all’avanguardia, molto bisognava ancora fare.

Nel 1974 nacque l’Anspi, cioè l’Associazione Nazionale Sport Paraplegici. Nel 1977 l’Italia partecipò per la prima volta ai campionati europei di atletica leggera, che si svolsero a Vienna.

Nel 1981 allo Stadio dei Marmi a Roma venne organizzata una grande manifestazione sportiva per disabili, in programma anche l’atletica leggera. Impressionò la prestazione del canadese Arnie Boldt che, con una sola gamba, saltò in alto 2 metri e 04.

Nel 1987 il CONI riconobbe dignità giuridica alla Fisha (Federazione italiana sport handicappati). Nel 1990 nasce la Fisd (Federazione italiana sport disabili) che riunisce anche i disabili intellettivo-relazionali e non solo quelli fisico-sensoriali. Infine nel 2003 nasce il Comitato italiano paralimpico (Cip) e dal 2015 il Cip ha le stesse finalità e funzioni del Coni.

Ma noi ora vogliamo tornare a Varese. E allora cominciamo con l’incontrare Linda Casalini. Fa parte della Giunta del Cip regionale. E’ poi nei ranghi nazionali della Fisdir, cioè della Federazione italiana dello sport disabili intellettivo-relazionali. E se il mondo della disabilità fisica ha già le sue complessità, le sue molte categorie, è facile intuire che la disabilità intellettivo-relazionale è ancor più variegata e non facilmente catalogabile. Fatto sta che, grazie all’impegno di persone come Linda, questi atleti riescono a trovare spazi, luoghi di allenamento, allenatori e gratificazioni sportive, anche nell’atletica leggera.

“Sono una settantina gli atleti nella nostra provincia che praticano atletica” ci racconta la professoressa Casalini, che è docente di educazione fisica distaccata in Provveditorato. “L’intento Fisdir è quello di aprire una sezione ‘nostra’ all’interno di ogni Società di atletica Fidal. Ecco allora che ad oggi accolgono i ragazzi l’Atletica Malnate, Varese Atletica, Atletica Busto, Sesto 76 Lisanza, l’Osa Saronno. A livello di Lombardia i tesserati Fisdir sono un migliaio.”

Quando un varesino che conosce lo sport locale pensa all’atletica leggera praticata da atleti disabili ha davanti alcuni personaggi emblematici, più o meno noti anche oltre i nostri confini provinciali. Sono almeno tre: Gaetano Marchetto, Fabrizio Macchi e Marco Re Calegari.

Poiché l’anzianità fa grado, partiamo da Marchetto, classe 1962, una retinite pigmentosa che a partire dai 12 anni, progressivamente, lo ha portato alla cecità. Ragazzo d’oratorio, e precisamente dell’oratorio di Cardana di Besozzo, come tutti i ragazzini si innamora del pallone, tante partite sul campetto di terra e sassi all’ombra del campanile, il classico torneo CSI con squadre a 7, poi l’incontro con l’atletica, grazie al suo prof. di ginnastica, Rossi, che lo coinvolge nella campestre dei Giochi della Gioventù all’ippodromo delle Bettole, clima invernale e ampia partecipazione di studenti. Poi la malattia, lo studio, una pausa nella pratica sportiva. A 21 anni un brutto incidente in moto, problemi alla schiena e il ritorno allo sport, soprattutto per ridurre questo dolore. E allora Gaetano Marchetto sfodera il suo coraggio, la sua voglia di vivere e di sperimentare, il suo amore per il movimento, il suo bisogno di stare all’aria aperta. A 27 anni, quindi siamo nel 1989, il suo esordio con l’atletica, prima con l’Atletica Galbar di Cittiglio (oggi 7 Laghi Runner) e poi con il GS Non Vedenti di Milano. La sua guida, indispensabile, in principio ha una maglietta scura di giorno e chiara di notte, che Gaetano illumina con una torcia, poi la vista peggiora ancora quindi Marchetto inventa un nuovo metodo, una corda che lui chiama ‘ottovolante’ lo assicura alla guida. Per molti anni è l’atletica il suo sport preferito, partecipa a gare, vince, è felice. Oggi ci tiene a ringraziare tutti coloro che hanno corso o fatto sport con lui, permettendogli di partecipare nonostante la cecità: Enzo Tavernini, Vittorio Ottaviano, Franco Corsi, Angelo Beghetto, Angelo Colli, Giacomo Ierardi, Antonio Locascio. Ma l’elenco sarebbe ancora più lungo.

Nel 1990 Marchetto è fra i più attivi artefici della nascita dell’associazione Ciechi Sportivi Varesini. Dall’atletica al nuoto, dal canottaggio al baseball, dallo sci alpino allo sci da fondo, e poi il ciclismo eccetera eccetera: Gaetano ha fatto di tutto nello sport. E a questo punto ci aggiungo un ricordo personale. Ho conosciuto Marchetto al Panathlon Club Varese. Era il 2003, mi propose di accompagnarlo come guida ad una corsa del Piede d’Oro a Laveno, era prevista prima la gara sui classici 10 km per i normodotati, poi a seguire una gara più corta, per disabili. Accettai. Era una splendida giornata di sole, ma in riva al lago Maggiore faceva un gran freddo e tirava vento. Io supercoperto e prudente come mia abitudine, Gaetano in canotta giallo fosforescente e pantaloncini corti. Nonostante avessi già corso e fossi ben vestito gelavo, Marchetto per contro sorrideva e correva, senza un tremore. Una volontà di ferro, un fisico temprato, un gran personaggio.

Fabrizio Macchi è certamente, dei tre citati, lo sportivo più noto a livello nazionale e non solo, noto soprattutto per le sue grandi prestazioni nel ciclismo. Ma noi qui lo ricordiamo per i suoi esordi con l’atletica. Classe 1970, il trauma dell’amputazione di un arto inferiore in giovane età, la voglia di non mollare. Nel 1991 fa notizia la sua partecipazione alla Maratona di New York, con l’aiuto delle stampelle. Nel 1993 e nel 1995 partecipa ai Campionati italiani di atletica, nel salto in alto e nel salto in lungo. Poi sale in sella alla bici da corsa e nessuno lo ferma più: Paralimpiadi, Record dell’ora, tante vittorie, le sue apparizioni televisive, le sue amicizie con grandi campioni dello sport e dello spettacolo, oggi il lavoro di fisioterapista.

Marco Re Calegari da Castronno, un gran fisico e tanta passione sportiva, soprattutto per lo sci. E allora con gli amici si va in Valle d’Aosta: giornata sulla neve, il ritorno in auto, stanchi. Marco siede sui sedili posteriori, si addormenta. Purtroppo un colpo di sonno di chi è al volante causa la tragedia: Marco si salva ma gli devono amputare gli arti inferiori. La difficile accettazione, la lenta ripresa, la voglia di reagire, lo sport: Re Calegari sale su una carrozzina da atletica, tempra i muscoli, si allena sino allo sfinimento ma la fatica lo ripaga. Partecipa a tre Paralimpiadi: Barcellona 1992, Atlanta 1996 e Sydney 2000. A Barcellona vince la medaglia di bronzo sui 1500 metri, classe TW 3-4. Poi passa all’hand-bike, al canottaggio, allo sledge-hockey. Socio Panathlon come Marchetto e come Macchi, lì lo incontro all’inizio del nuovo millennio. E come con Gaetano, anche con Marco ho il piacere di vivere una mattinata in sua compagnia. Mi invita a seguirlo in bici, lui con la hand-bike, da Capolago a Laveno. All’andata, dove alla pianura si aggiungono tratti in lieve discesa, è per me davvero arduo stargli dietro, io con due gambe e lui con due braccia forti come pistoni e bielle di una locomotiva. Fila come un razzo, affronta curve con leggerezza e coraggio. Il ritorno è per lui meno agevole, i falsopiani e le salitelle non sono semplici da superare ma Marco Re Calegari è davvero un re.

Il nostro ‘re’ Calegari ha sempre partecipato come atleta della Polha, la società più nota del nostro territorio. Ne parliamo con Daniela Colonna Preti, che è la presidentessa dal 1993.

“La Polha nasce nel mese di marzo del 1982” racconta la dinamica Daniela. “Su impulso della grande prestazione di Arnie Boldt nel salto in alto, Roma 1981, nacquero molte società sportive per disabili anche in Italia. Varese fece la sua parte con la Polha, che ebbe come primo presidente Giacinto Zòccali. L’atletica fu uno dei primi sport praticati dalla Polha. Giovanni Alianelli, affetto da emiparesi spastica, fu il nostro primo atleta a partecipare ad una Paralimpiade, precisamente a quella di Los Angeles del 1984. Nel 1991 divenne presidente Rodolfo Rossi, tetraplegico in carrozzina. Suo padre era un fabbro e ci aiutò molto nella fabbricazione delle prime carrozzine specifiche per le gare su pista e su strada. Rossi partecipò alle Paralimpiadi di Seul 1988, conquistando il bronzo nella staffetta 4×100. Il 1988 vede anche l’ingresso in Polha di Marco Re Calegari. Fra il 1986/87 e il 1991 abbiamo seguito anche ragazzi con disabilità psichica, poi hanno continuato il loro percorso sportivo con Linda Casalini.”

Chiediamo a Daniela Colonna Preti quando ha incontrato la Polha.

“Ho incontrato questa realtà sportiva nel 1985. Fui invitata a vedere gli allenamenti di questi ragazzi allo stadio di Masnago e rimasi colpita soprattutto da uno di loro, Alfredo Luini. Aveva una forma molto grave di spasticità, non poteva usare le braccia, aveva però le gambe molto forti e si spingeva con quelle. Ricordo molto bene anche il nostro primo allenatore di atletica, Gianni Bellorini, spesso aiutato anche dalla moglie. Andava a prendere a casa Alfredo, lo metteva in pista sulla carrozzina, lui svolgeva il suo programma di allenamento intanto il prof seguiva altri ragazzi. Alla fine dell’allenamento distendeva Luini sul prato, lui libero dalla sedia mobile si divertiva, si sfogava come un cagnolino sull’erba, poi Bellorini lo riportava a casa. Dopo la morte tragica del prof, abbiamo avuto come allenatore per l’atletica Moreno Martinelli, che ha seguito soprattutto Marco Re Calegari in tutto il suo percorso. Il top dell’atletica in Polha è stato raggiunto nel 2000, quando oltre a vincere i Campionati di Società abbiamo vinto anche il Trofeo di qualità. Poi purtroppo l’atletica da noi, e non solo da noi, ha avuto un grande calo di partecipazione per l’arrivo della hand-bike. Molti nostri atleti hanno preferito il ciclismo perché meno tecnico, dava la possibilità dell’uso dei cambi quindi per certi aspetti anche meno faticoso. Nel caso della nostra Società, si è poi aggiunto lo sledge-hockey, la nascita della squadra Armata Brancaleone: in pratica tutti i nostri tesserati che praticavano atletica sono passati sul ghiaccio: era il 2003.

Basta atletica, ma abbiamo ripreso nel 2014 grazie a Irbin Vicco. Era un giovane timido, che non ci teneva a mostrare la sua disabilità, amputato ad una gamba sotto il ginocchio. E’ stato lungo il percorso per convincerlo a praticare atletica. Si trattava poi di procuragli anche una protesi da corsa, una spesa non indifferente, 7-8 mila euro, occorreva uno sponsor. Siamo riusciti a trovarlo, Irbin si sta appassionando, specialista della velocità e del salto in lungo, è riuscito con il suo esempio a portare altri ragazzi: Alina Alexandra Simion (amputata transtibiale – velocità e lungo), l’iracheno Bashar Madjid Mekkalef (esiti poliomielite – lanci), il piccolo peruviano Juan Pablo Ramos (lanci), Fabio Bottazzini di Gallarate (amputato transtibiale – velocità e lungo), Giorgio Napoli (amputato transfemorale – velocità). La loro allenatrice è Cristina Martinelli, preparatore atletico Luca Cavaggioni, la psicologa Michaela Fantoni. Si allenano sulle piste di Cairate, Calcinate, Maccagno e Bellinzago.”

 

Un piccolo cameo (come si dice in termini cinematografici) se lo merita, in questo capitolo, Roberto Bof detto Roby, che ad un certo punto ha indirizzato la sua vita verso la cura dei disabili, giornalista varesino quanto mai attento alla fraterna solidarietà, amico di sportivi assai noti: lui ha fatto conoscere Bebe Vio alla nostra città. Già, ma cosa c’entra l’atletica leggera? Anzitutto Bof è amico di quel Rodolfo Rossi che abbiamo già conosciuto qualche pagina fa, erano insieme all’oratorio di Giubiano, ma qui è inserito perché fa parte di quel mondo ricco e variegato di appassionati della corsa lunga, conosciuta in età già avanzata, gente capace di incontrare i benefici delle endorfine, seguendo i consigli di Enrico Arcelli.

“Sì” racconta Bof. “Il dottor Arcelli un consiglio me lo diede, quando intuì che avevo voglia di correre una maratona: tranquillo, non diventare matto a guardare le tabelle, importante è stare bene e divertirsi. Tutto è nato una sera in Africa, l’amico Cimberio aveva in animo di correre una maratona a New York, organizzare un evento per raccogliere fondi, necessari a costruire una scuola in Burundi. Era il 2013, Cimberio partì ma la maratona fu annullata causa maltempo. L’anno successivo tornò la proposta e mi aggregai anch’io con l’amico Stefano Zanini, grande ciclista. Una scommessa vinta, portai a termine la maratona in 4 ore e 43 minuti, la scuola venne realizzata.”

Da quella prima avventura i benefici della corsa non si sono mai allontanati da Roby. “Una maratona all’anno, sì, preparate adeguatamente. Nel 2015 corsi a Berlino, nel 2016 a Valencia, dove fermai il cronometro sul mio personale: 4 ore e 2 minuti. Queste prime tre sempre con Stefano Zanini. Nel 2017 ad Atene, nel 2018 a San Pietroburgo, nel 2019 a Tokyo. Nel frattempo altre corse, ad esempio la Cortina-Dobbiaco. Poi è arrivata la pandemia che ha bloccato tutto, ma la corsa continua, altre maratone arriveranno.”

Roberto Bof e Stefano Zanini alla New York City Marathon del 2014.
19.1     Linda Casalini con Giorgia Marchi.
Linda Casalini con un gruppo di atleti.
Linda Casalini al Pavesi, Giornata per lo Sport Paralimpico.
Il prof. Marco Caccianiga, sempre in prima fila a vantaggio dello sport per tutti.
Gaetano Marchetto con il suo brevettato ‘otto volante’.
Fabrizio Macchi premiato dal sindaco di Varese Aldo Fumagalli.
Marco Re Calegari con la sua carrozzina da atletica, tre Paralimpiadi al suo attivo.
Marzo 1990, Monza – Da sinistra: Ambrogio Magistrelli (vicepresidente Polha), Marco Re Calegari, Balbina Proverbio (deceduta), Rodolfo Rossi (presidente Polha 1983-1991) e Carlo Gabadi.
Alfredo Luini nel 2003.
Squadra atletica 2021 (manca Alina, infortunata)
Alina (pet 105) con 3 medagliate di Tokyo 2021: Ambra Sabatini (pet 35 oro), Cristina Cairoli (no pett argento) e Monica Contraffatto (pet 77 bronzo)
Un lungo salto di Irbin Vicco.
Toni Milano: da questo 2022 gareggerà in maglia Polha nelle gare di atletica su pista.

20  Marciatori, Piede d’Oro e Pre Njmegen

Nel vasto capito dell’atletica leggera a Varese non può non trovar posto la galassia delle camminate, delle corse, delle tapasciate di paese, delle Stra (Varese, Velate….). Ci limitiamo ad una veloce disamina di questa sezione molto nutrita, aperta ad ogni età, variamente agonistica, soprattutto dilettantistica, spazio all’aria aperta che vede contemporaneamente grandi impegni e molto divertimento. In queste gare ho visto i personaggi più strani ed eclettici, ma nessuno può superare la stravaganza di un tizio già avanti negli anni, che correva e insieme teneva in mano una piccola tela, sulla quale realizzava un dipinto cammin facendo.

Nel 1978 nascono i Marciatori varesini, associati alla FIASP (Federazione italiana amatori sport per tutti). La caratteristica delle loro competizioni è la partenza ‘alla francese’, libera, fra le 8 e le 9 del mattino: niente controllo cronometrico, nessuna classifica, si cammina e si corre liberamente. Fanno parte delle gare dei marciatori note tapasciate come la Stravarese, la Stravelate… Posti di ristoro dove i partecipanti mangiano e bevono con calma e in genere con abbondanza, un clima di festa e di sport per la salute, niente stress. Fra gli sponsor dei marciatori varesini ricordiamo Lorenzo Benzi, che organizzò anche il gemellaggio Varese – Roman sur Isere. Donato Nipote è l’anima dei Marciatori varesini.

Nel 1982 Dario Bonvini, Carlo Bianchi e Nereo Frigo, con pochi altri amici, si ritrovano al Bar Fermata di Casciago. Le tapasciate della FIASP vanno bene ma alcuni partecipanti desiderano più agonismo, più organizzazione, una maggior vicinanza con le gare ufficiali della Fidal. Si pensa ad una partenza in linea, tutti assieme, fornendo il cronometraggio, dividendo i partecipanti per fasce d’età come per le gare master, dando un punteggio in base alla classifica, un modo per vincolare maggiormente la partecipazione, domenica dopo domenica. Premi finali in base ai piazzamenti. Si fonda l’associazione ‘Podismo sportivo del Varesotto’ (PSV) e si cerca un nome da dare a queste nuove gare. C’è già la Gamba d’Oro e il Piede alato: nasce così il Piede d’Oro. Nel 1983, primo anno di attività, abbiamo una trentina di gare e una ottantina di iscritti. Con gli anni gli appuntamenti del Piede d’Oro aumentano di numero e di iscritti, sfiorando i 700 associati al PSV. Per molti mesi all’anno le domeniche sono impegnate a correre. Abbiamo ad esempio la ‘Frigo Nereo-Marcia dell’amicizia’ (partenza da via Crispi, davanti al negozio Frigo), la Marcia del latte alla Schiranna, la Cittiglio-Vararo, corsa in salita molto impegnativa…In alcuni casi entrano nel calendario del Piede d’Oro corse di paese che hanno già una loro consolidata tradizione. Un caso su tutti: il Cross-country dei Sette Campanili, del quale già si è scritto. Fra le ultime nate, la Corsa della Balena a Brinzio.

Vi è anche una finalità benefica, che va al di là del piacere della corsa e del benessere psicofisico dei partecipanti. Donazioni vengono fatte alla Lega contro i tumori e alla Sacra Famiglia di Cocquio Trevisago.

Le gare del Piede d’Oro, in genere lunghe 10 km, vengono spesso utilizzate come allenamento anche da atleti di alto livello.

1973 Fogliaro partenza della ’40.000 Pass’, una delle molte corse domenicali, in voga allora ma anche oggi. Terzo da sinistra Luigi Brugnoni. Dietro di lui, coi baffi, Vincenzo Bifulco. Al centro un concorrente sta per cadere.
1979 Brinzio  In piedi, primo a sinistra, Luigi Brugnoni. Accosciati, primo a destra: Mario Carmagnola. Al centro, coi baffi, Fernando De Maria.
1979 Cronoscalata Brusimpiano-Marzio: il gruppo di testa. Da sinistra: Mario Peragine, Francesco Zedde e Fernando De Maria.

La Pre Njmegen

Un paragrafo a parte se lo merita la Pre Njmegen, marcia non competitiva (vietato correre) fondata nel 1972 dal giornalista Fulvio Campiotti, coadiuvato da Giovanni Copreni. La Pre Njmegen – nata con la denominazione di Prenimega – si ispirava alle ‘Marce Internazionali di quattro giorni’ di Njmegen (Olanda), annualmente organizzate dalla Lega Reale Olandese per l’Educazione Fisica. Carattere peculiare della Pre Njmegen, che la rende unica in Italia e una delle poche in Europa, è di essere una marcia non competitiva animata esclusivamente dallo spirito decoubertiano dello sport. Già dagli albori, la manifestazione ebbe la tutela dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Il percorso si snodava attraverso 14 Comuni, situati ai confini delle Province di Varese e di Como. Alla seconda edizione presero parte reparti militari italiani, che nel corso degli anni aumentarono di numero tanto da divenire un pilastro portante della manifestazione. Nella stessa edizione si ebbe la prima organizzazione in gruppi dei civili, come quello dell’AVIS di Como.
Nel 1984 fu introdotto per la prima volta il percorso alternativo prima di 10 Km e successivamente di 12. Il percorso è studiato per favorire la partecipazione di giovanissimi, di anziani, di portatori di handicap e di tutti coloro che desiderano essere attivamente presenti, ma per i quali i 43 Km del percorso tradizionale costituivano uno sforzo eccessivo. La partecipazione militare, dapprima limitata solo a compagini italiane, si è estesa col tempo a reparti internazionali: Svizzeri, Austriaci, Tedeschi, Inglesi, Ungheresi, Francesi, Rumeni e a rappresentanze della N.A.T.O. Numerose Associazioni di Volontariato hanno coadiuvato gli organizzatori sia nelle fasi preparatorie che durante la marcia con la gestione dei punti di ristoro e anche delle cucine al campo.
Ad allietare il numeroso pubblico che si riversa lungo le strade e all’arrivo hanno provveduto nel tempo numerosi Corpi Bandistici, Fanfare Militari, Gruppi Folkloristici, Reparti Militari Equestri, Gruppi Cinofili.
A partire dal 1984 il soccorso è stato garantito dall’A.N.P.A.S. Regione Lombardia con i suoi Associati. Dal 1999 è stato introdotto un percorso di 22 Km a passo libero per gli amanti della mezza maratona e dal 2000 la marcia ha assunto il nome di Pre Njmegen.

Chi ha partecipato alla Prenimega degli anni Settanta e Ottanta sa bene quanto la manifestazione fosse ottimamente organizzata dagli amici di Malnate, e soprattutto ricorda la difficoltà di dover sempre camminare, quando in discesa sarebbe stato più conveniente correre. Ricorda ad esempio il gran caldo patito dai militari, costretti alla marcia con zaino e vestiti pesanti (in caso di meteo favorevole, la Prenimega si svolge di norma a maggio), oppure il disagio in caso di pioggia.

Donato Nipote, anima dei Marciatori varesini.
Castiglione Olona, 2019: una delle ultime gare del Piede d’Oro, prima dell’interruzione causa Covid.
Giuseppe Micalizzi, fra i più attivi nel gruppo Runners Varese.
Fabio Casa con la figlia Arianna, sempre presenti nel gruppo Campus Varese Runners.
Militari alla Pre Njmegen di Malnate.
Trofeo della Balena a Brinzio, primavera 2019, ultima nata fra le corse del Piede d’Oro.

21   La corsa in montagna

Il nuovo millennio ha portato, fra le varie mode, la corsa in montagna, e naturalmente la nostra zona prealpina è assai adatta. Ma se n’erano accorti anche i nostri padri (se non i nostri nonni), con tapasciate in verticale più o meno competitive, dalla Cittiglio-Vararo alla salita del Sasso del Ferro di Laveno, dalle scarpinate sulla Martica alla Campus-Sacro Monte, ripresa in anni recenti dallo Sci Nordico Varese e dalla Varese Atletica, che hanno organizzato la Vidoletti – Mosè del Sacro Monte, con la ripida ascesa lungo il viale delle Cappelle. Del 2018 poi è la prima edizione della Campo dei Fiori Trail, organizzata fra gli altri dalla Eolo, con diverse distanze anche massacranti, sull’esempio di analoghe corse sulle Alpi valdostane.

Mi piace qui menzionare Luciano Genovese, molto attivo nello Sci Nordico Varese, che (come molte società di sci da fondo) quando la neve si scioglie si dedica all’atletica leggera, sport che ha scelto anche il figlio Jacopo. Luciano, oltre ad essere fra gli organizzatori più attivi della rinata ascesa Vidoletti – Sacro Monte, è molto presente anche nella Varese Atletica ed è un runner a sua volta.

Luciano Genovese con due atleti di Gavirate.
Jacopo Genovese in maglia Atletica Gavirate.

Mi piace iniziare questo breve capitolo con una corsa storica del nostro territorio, nata negli anni Sessanta e ancora in vita, a parte la sospensione causa Covid dopo l’edizione del 2019. Sto parlando dello Scarpone Luvinatese.

L’origine è incerta, come per ogni leggenda. Si narra che agli inizi degli anni Sessanta due luvinatesi doc, Giulio Broggi e Mario Pozzi, nella loro abituale bevuta al Circolo di Luvinate, organizzarono un loro gara, per stabilire quale fosse la via più rapida per raggiungere la Punta Paradiso al Campo dei Fiori (allora non ospitava ancora l’Osservatorio astronomico). Chi vinse la sfida? Non si sa, fatto sta che i due decisero di ripetere ogni anno quella salita, venne scelto il percorso più veloce e diretto che non venne mai cambiato, salvo una sola eccezione. Si parte da Piazza Cacciatori delle Alpi, m 425 slm, subito in salita per la Panera, si entra nel bosco alla Cascina Zambella, poi il Sass dul Signuur, il sentiero Dal Zotto con uscita sulla strada militare per il Forte d’Orino, un breve tratto in piano e poi l’erta finale sino a Punta Paradiso, m 1225 slm, per un totale di Km 5,6 e un dislivello di 800 metri.

L’albo d’oro, che non è completo perché parte dal 1972, vede come primo vincitore Enrico Borghi, che percorse lo Scarpone in 40’.

La prima edizione femminile è del 1991, con vittoria di Mirella Santambrogio in 54’51”.

Supervincitore fra gli uomini è Claudio Broggi (sarà il figlio di Giulio il precursore?), che ha vinto ben 16 edizioni dello Scarpone, mentre il già citato Angelo Giardiello ne ha vinte 6. Ma abbiamo anche una supervincitrice fra le donne, e cioè Cristina Clerici, che ha vinto 12 edizioni, l’ultima delle quali in maglia Cus Insubria, allenata da Fabrizio Anselmo. Fra le ragazze segnaliamo che ha vinto anche una figlia d’arte, e cioè Elena Begnis, figlia del siepista Massimo.

Per stare alle eccellenze varesine in questo genere di corsa, dobbiamo senz’altro parlare di Roberto Calandro, nato il 25 marzo del 1973, uno scricciolo, leggerissimo, adattissimo alla corsa di resistenza. Allievo di Silvano Danzi, Calandro si distingue nelle mezze maratone e nelle maratone, ma ottiene i risultati di alto livello nella corsa in montagna. Fa infatti parte della nazionale azzurra che, che 2000 a Bergen, in Germania, vince i Mondiali a squadre di corsa in montagna. Roberto arriva 16°.

Abbandonata l’atletica, Calandro si è dedicato alla carriera di fantino.

Un cenno se lo meritano senz’altro due varesini, specialisti della corsa in montagna che hanno ottenuto già prestigiosi successi nella gara regina, in Italia, di questo genere di corsa dai dislivelli impressionanti: il Tor des Giants. Facciamo riferimento ad Andrea Macchi e a Luca Papi.

Andrea Macchi, un passato nel canottaggio ad ottimi livelli e poi la scoperta della corsa in salita, ha vinto anche la prima edizione della Campo dei Fiori Trail. Nativo del Sacro Monte (figlio del noto fotografo Vivi Papi) ma trasferitosi a Parigi per lavoro, Luca Papi viene spesso in Italia per le gare. Li vediamo entrambi, in foto, nella edizione 2018 della Campo dei Fiori Trail, protagonisti sulle prealpi di casa.

Con le Prealpi di casa ha a che fare anche Luca Spada, Mister Eolo, imprenditore di successo che intorno ai quarant’anni scopre il piacere della corsa lunga. Merito della figlia Giulia, che lo invoglia a praticare sport. “Allora pesavo 86 chili e non avevo alcuna resistenza” ricorda oggi Spada. “Ho cominciato a correre e a curare l’alimentazione. La passione è arrivata. Maratone e corse in montagna, comprese tre partecipazioni al Tor des Geants, 340 km in sette giorni 35.000 metri di dislivello, 22 montagne da scalare. Ora peso 67 chili e sto bene.” Luca Spada pratica anche il ciclismo, la sua Eolo sponsorizza molte attività legate all’atletica e, come è noto, una squadra di ciclismo professionisti.

Luca Spada al Tor des Geants
In questo video è presente anche Andrea Macchi.

Se il presente sono Macchi e Papi, il futuro si chiama Mattia Zen. Classe 2003, nell’agosto del 2020 in Val di Susa ha vinto il titolo italiano di categoria nella corsa in montagna, vincendo un anno dopo a Galliano del Capo (Lecce) la tappa n° 11 della Coppa del Mondo. Tesserato per il Cus Insubria Eolo, allenato da Alberto Cadonà, Mattia attende il mese di novembre di questo 2022, per ben figurare ai Mondiali in programma a Chiang Mai, in Thailandia.

Inserisco in questo capito della corsa in montagna anche un’atleta che, di per sé, potrebbe stare benissimo anche nell’atletica su pista, dai 10.000 in su, nella maratona e ci mettiamo anche il triathlon, anche se qui esuliamo dall’atletica leggera, almeno per due prove su tre. Faccio riferimento a Sara Dossena, nata a Clusone il 21 novembre del 1984 ma di diritto atleta della nostra provincia, essendo tesserata per la 101 Running ASD di Gallarate, allenata da Maurizio Brassini. Eccellente, in giovane età, nella corsa in montagna (data anche la sua origine bergamasca) e nei 10.000, passata al triathlon (terza in una tappa della Coppa del Mondo) e poi tornata all’atletica con la maratona, Sara Dossena ha un personale di 2 ore e 24 primi (2019 – Nagoya), terza italiana di sempre nei 42 chilometri. Proprio in questo 2022 ha deciso di appendere le scarpe al chiodo.

Due immagini di Mattia Zen, futuro della corsa in montagna.
Sara Dossena in azione e con il coach Maurizio Brassini.

Partenza dello Scarpone Luvinatese.
Andrea Macchi (a destra) vincitore della Campo dei Fiori Trail.
Luca Papi, un ritorno sulle sue Prealpi.
Andrea Macchi, tesserato per l’Atletica Gavirate, primo anche sulle Orobie.
Luca Papi protagonista in Val d’Aosta, Tor des Gèants
Elena e Michaela, cioè le reginette del Sacro Monte-Campo dei Fiori. Tutti i giorni (salvo rare eccezioni), a volte al mattino altre al pomeriggio, salgono un po’ di corsa un po’ a piedi al Sacro Monte, il sabato o la domenica anche al Campo dei Fiori, regalandoci stupende foto all’alba. Dal 2022 organizzano la Mini Campo dei Fiori Trail, destinata ai bambini dai 6 ai 12 anni.
13 marzo 2022 – Andrea Macchi profeta in patria. Eccolo vincitore della Kratos 75, la gara più massacrante della Campo dei Fiori Trail, 75 km, 4400 metri di dislivello, 8 ore, 41 minuti e 22 secondi di gara.
Eolo Campo dei Fiori Trail 2022

22  Giochi della Gioventù e atletica scolastica

Come ogni altro sport, anche l’atletica leggera ha puntato e punta sulle ore di educazione fisica come momento privilegiato di introduzione all’atletica leggera, spazio di sperimentazione della bellezza di questo sport, e trampolino di lancio per introdurre il ragazzo e invitarlo a proseguire in una società sportiva.

Non è mia intenzione risalire nel tempo per analizzare il rapporto scuola-atletica leggera, mi limiterò a Varese partendo dalla fine degli anni Sessanta, quando vennero introdotti, su spinta dell’allora presidente del Coni Giulio Onesti, i Giochi della Gioventù per le medie e i Campionati studenteschi per le superiori. E nei GdG l’atletica leggera ebbe subito uno spazio privilegiato, e comunque non secondario.

Di per sé i prof di ginnastica pre-Giochi della Gioventù avrebbero potuto (e più d’uno lo faceva) dare spazio a corse campestri, corse veloci, salti e lanci, ma certamente questa attività programmata, che prevedeva fasi di istituto, comunali, distrettuali, provinciali e nazionali (in seguito verrà introdotta la fase regionale) fu uno stimolo e un’opportunità che venne bene accolta anche nella nostra zona.

E qui ci aggiungo un ricordo personale, visto che mi è toccato di assistere alla nascita dei Giochi della Gioventù quando frequentavo la seconda media, anno scolastico 1968/1969. Ma il ricordo non è legato all’atletica leggera. Rispetto all’atletica il nostro prof. di ginnastica delle medie, Secchia, si limitava al salto in alto, in rigorosa tecnica all’italiana frontale, sebbene proprio in quel 1968 Dick Fosboury stupì il mondo alle Olimpiadi di Città del Messico, con il suo rivoluzionario stile. Ma bisognerà attendere molti anni prima che lo stile fosboury entri nella scuola e venga insegnato ai ragazzi. Il mio ricordo è legato ad una squadra di pallavolo, che il prof. formò per partecipare ai GdG e chiamò ‘La Sghemba’ proprio per la nostra scarsa preparazione e la tecnica molto raffazzonata. Fummo pesantemente sconfitti, al Palazzetto dello Sport ‘Lino Oldrini’, dalla Scuola Europea che aveva come insegnante quel Cattaneo che abbiamo qui già menzionato come atleta.

Marco Zanzi, docente di educazione fisica molto attento all’atletica leggera (fra le sue scoperte, Fabio Ossola, velocista da 11″04) e runner a sua volta, con partecipazioni alla StraMilano e ad altre corse.

Il mondo dell’atletica leggera agonistica deve molto ai docenti di educazione fisica della nostra zona, a quelli di un tempo e a quelli attuali, capaci di organizzare agguerrite corse campestri autunnali e invernali, trampolino di lancio per scoprire talenti, come abbiamo ampiamento descritto qui. Mi è facile non incorrere in errore, avendo insegnato ginnastica per 43 anni, avendo quindi esperienza sul campo, soprattutto per ciò che riguarda le scuole medie inferiori. Ricordo le migliaia e migliaia di alunni coinvolti dai loro prof., campestri distrettuali sui prati di Arcisate, di Malnate, di Varese, campestri provinciali all’Ippodromo delle Bettole, alla Lagozza di Arcisate, alla Schiranna, campestri regionali a Somma Lombardo, a Busto Arsizio,  ad Arcore, al Naviglio di Milano, nella bassa padana, nella nebbia, con terreno gelato o fangoso, scarpe che i corridori perdevano nelle zolle argillose, gran freddo, tè in bicchieri di carta che evaporava, volti rubizzi e sudati dei ragazzi, qualche inevitabile esagerazione agonistica con intervento del personale sanitario, partenze a razzo, cadute, sprint finali e giovani braccia levate verso il cielo, come fecero spesso Bobo Gervasini o il grande Alberto Cova alle Olimpiadi e ai Mondiali. E poi, in primavera, le gare su pista, allo stadio ‘Franco Ossola’ e poi al campo-scuola ‘Bellorini’, fasi comunali all’inizio, poi distrettuali, provinciali, regionali, nazionali. Ma ancor prima le raccomandate fasi di istituto, nelle quali coinvolgere possibilmente tutti gli alunni, dagli anni Novanta in avanti anche gli alunni disabili, trovando il modo di conciliare la partecipazione di massa con l’agonismo, la valorizzazione dei primi come degli ultimi, per far vivere ai ragazzi un’esperienza educativamente importante e non frustrante, per evitare che quella gara diventasse il definitivo allontanamento dall’atletica, non la sua promozione. E poi le fasi provinciali di atletica su pista: ricordo molto bene i campi di Sesto Calende, di Somma Lombardo, di Gallarate, di Busto Arsizio, di Peveranza di Cairate, di Tradate, di Saronno soprattutto per le fasi regionali. Sino alla fine degli anni Ottanta si passava direttamente dalla fase provinciale a quella nazionale a Roma, una miniolimpiade, poi venne introdotta la fase regionale, spesso organizzata all’Arena di Milano, in Valtellina, a Bergamo, a Vigevano, a San Donato Milanese, a Sesto Calende (Società molto generosa nell’organizzare le fasi di atletica dei Giochi). Il campo-scuola ‘Bellorini’ ha sempre avuto l’handicap della mancanza di tribune, il che rendeva più difficile organizzare le gare. Ho avuto la fortuna, con la mia scuola, la media ‘Vidoletti’, di partecipare tre volte alle finali nazionali di squadra nell’atletica leggera, due volte a Rieti e una a Gubbio, nel 1999, quando per la prima volta i Giochi della Gioventù divennero Giochi Sportivi Studenteschi. In quella occasione la staffetta 4×100 vinse la medaglia d’argento, ma va riconosciuto che tre della quattro ragazze in gara per la ‘Vidoletti’ praticavano già atletica alla Nav di Bruno Pinzin. Mentre la mia scuola vinse le finali nazionali nella staffetta 4×100 a Rieti, e in quel caso nessuno dei quattro alunni era tesserato per una società di atletica. Ho detto dei luoghi, ma non posso non citare alcuni colleghi che, in provincia, si sono distinti per la promozione di questo bellissimo sport. Mi limito solo alle medie inferiori, e oltre ai già più volte ricordati Bruno Pinzin alla ‘Dante’ di Varese, Beppe Balsamo a Caronno Varesino, Alberto Cadonà a Malnate e in seguito alla Pellico-Righi, e poi Carlo Pirani, Alberto Crugnola, Enrico Pellegrini, Eugenio Lelii, Chicco Cantoreggi alla Anna Frank di Varese, Giovanni Magro, Silvano Danzi ad Arcisate, Brigitte Jesu a Viggiù-Cantello, Enrico Piazza ad Ispra, Casciago e alla Vidoletti, Claudio Bossi detto Nini nelle scuole del luinese, Gianfranco Ranzato a Tradate, Marco Zanzi a Gornate Olona e in altre scuole, Nello Bertola e altri docenti a Sesto Calende. Una stretta di mano particolare la voglia riservare a Sandro Torno della ‘Ponti-Lega’ di Gallarate e ad Alvaro Di Federico della ‘Sally-Mayer’ di Cairate, sempre in prima linea. Conosco molto meno l’ambiente delle scuole superiori, ma non posso non citare Franco Formato (morto prematuramente), Nadia Bianchi, Giovanni Babudri, colonne del liceo scientifico ‘Ferraris’ di Varese, e poi Massimo Begnis, Danilo Franzini, Umberto Cionfrini all’Itis, grande impegno è stato profuso da Maurizio Moscheni, anima del liceo ‘Tosi’ di Busto Arsizio, e ancora Gianni Chiapparo, Claudio Lesica, Maurizio Tallone, Franco Passera, Giorgio Colombo, Nico Genovese, Nicola Broggini, Claudio Schena, Cecco Lenotti, Gildo Rizzotto (morto troppo presto), Emanuela Munaretti, Daniela Crespi, Juana Mapelli, Manuela Catella, Gabriella Frattini, Elena Sassi, Silvia Vedani, Angiolamaria Biamonti, Piera Macchi (grande sciatrice della valanga rosa) con il collega Dario Pollicini (il Greg Louganis varesino) alla scuola Europea del Montello (organizzatori fra l’altro di Eurosport, miniolimpiade delle Scuole Europee, degni eredi del mitico prof. Cattaneo), Annalisa Rovellini. E quanti docenti di educazione fisica, soprattutto in questi ultimi anni, si sono dimostrati sensibili alla pratica sportiva per i ragazzi diversamente abili, a partire da Linda Casalini, Eleonora Trommino, Mariangela Algisi, Betta Faroni, Crocetta Bonomo, Marco Caccianiga detto Il Caccia….? E fra i coordinatori dei docenti di educazione fisica, ricordo Domenico Zagonia detto Mimmo, Marco Bussetti (poi Ministro della Pubblica Istruzione) e Pippo Gazzotti.

So bene di averne elencati solo alcuni, quelli che ho avuto modo di conoscere meglio personalmente (prof. soprattutto di Varese città), e che molti altri dovrebbero essere in elenco. Mi scuso per le assenze, convinto che chi ci ha messo passione e impegno ha già ottenuto la sua gratificazione personale, quel senso di gioia che rimane in chi ha fatto il proprio dovere e ha avuto la fortuna di raccogliere il sorriso grato dei propri alunni.    

Pippo Gazzotti e Alessandro Torno, due docenti amanti dell’atletica leggera.
Alvaro Di Federico (al centro), anima dell’atletica leggera a Cairate, sia a scuola che nella Cairatese, molto attento anche allo sport per atleti diversamente abili.
Gubbio, giugno 1999: la scuola media Vidoletti di Varese vince la medaglia d’argento nella staffetta 4×100 ‘cadette’ alle finali nazionali della prima edizione dei Giochi Sportivi Studenteschi.
Dicembre 2018: impressionante partenza della finale provinciale dei Giochi Sportivi Studenteschi di corsa campestre ‘cadetti’ alla Lagozza di Arcisate.
Ottobre 1998: prima edizione della staffetta 12×1000 ‘Andolfatto’ sulla pista di Arcisate. Le prime 6 classificate anno 1987, prima media.
Maggio 2004 – Finale provinciale dei Giochi Sportivi Studenteschi ‘cadetti’, podio del salto in lungo femminile, una delle tante gare organizzate dal prof. Alvaro Di Federico e dai suoi collaboratori al campo di atletica di Peveranza di Cairate, con il caratteristico podio molto alto.
27 maggio 2009 Rieti Finali Nazionali dei Giochi Sportivi Studenteschi di atletica leggera ‘cadetti’ – La Vidoletti vince la finale nella staffetta 4 x 100

23   I giudici di gara

I giudici di gara, gli uomini in bianco, croce e delizia delle gare di atletica leggera, figure indispensabili ma anche, a volte, responsabili dei tempi lunghi che caratterizzano le gare della regina dello sport, un fattore che va a danno dello spettacolo, dei tempi televisivi, della pazienza del pubblico.

Chi conosce l’ambiente dell’atletica e il clima delle gare sa bene che i giudici in genere sono piuttosto avanti negli anni, meticolosi a volte in eccesso, tranquilli per indole e spirito di gruppo, lenti nei movimenti: parlo in generale, naturalmente, con le dovute eccezioni. Sia quel che sia, i giudici ci vogliono, gli organici sono sempre risicati, si fa fatica a trovarne di nuovi, Varese non fa eccezione. Mi tornano alla mente commoventi immagini di giudici, sia maschi che femmine, con decine di anni di esperienza sul campo, ancora attivi e necessari a questa pratica sportiva. Penso soprattutto a due signore, Emilia Superti, preside alla scuola media di Malnate e Luigia Gritti Morandi, colonna della OSA Saronno, giudice per quarant’anni.

A questo proposito, ringrazio l’amico Alberto Cadonà, atleta e coach del quale già si è parlato, per il prezioso contributo che mi ha inviato proprio in merito alla figura di Emilia Superti, già apparso sulla rivista ‘La Cava’. Vuol essere il mio, il nostro omaggio a questo giudice speciale e a tutti i giudici dell’atletica leggera. 

Ricordo il sorriso, la tranquillità e la calma sicuramente dettati da un grosso equilibrio interiore, la precisione e la sicura, logica, tranquilla determinazione nel proporre in ogni ambito… le sue decisioni alla fine parevano logica pura.

La capacità di stare con gli altri e nel sapersi proporre, senza mai imporsi. Una presenza costante, sempre lì, quando avevi bisogno. Un amore per la vita che trasmetteva agli altri e che io, giovane insegnante ed allenatore ho intuito e un poco recepito.

Abbiamo avuto in comune l’amore per l’insegnamento e per l’atletica.

La chiamavamo ‘la Signorina’: non era un termine nobiliare ma avrebbe potuto esserlo.

L’atletica è ‘lo sport nobile’ perché il più antico, nato dalle esigenze di vita dell’uomo primitivo; correre, saltare e lanciare non sono mai stati considerati semplici giochi ma espressioni dell’uomo. La Signorina emanava le essenze dell’atletica, ne era parte.

Sport non inteso come risultato agonistico, ma come rapporto tra gli uomini, dove la gara era un mezzo per stare con gli altri, dove non contava la vittoria o il piazzamento, che riteneva sì importanti, ma più importante era il fatto di stare insieme.

Credo che questo sia stato il suo dogma, la sua filosofia. Lei era biologa e matematica, amava la precisione. Atleticamente non avrebbe mai potuto esprimere la sua ricchezza interiore, non aveva doti da campione: divenne giudice federale. Importante era stare sul campo, a diretto contatto con gli atleti, con la gioia della vittoria e lo sconforto della sconfitta, fatti della vita. Importante era esserci. Le sue doti di elevate capacità decisionali e di saper vedere con equità ed equilibrio, le mise a disposizione del mondo dell’atletica leggera diventando giudice federale, anche di rango elevato.

Lei visse gli albori dell’Atletica Malnate, per anni, finché ne fu capace, mise a disposizione le sue enormi conoscenze ed esperienze per aiutarci a crescere. Per anni girammo assieme l’Italia, coi nostri atleti. Esperienze che chi come me ha avuto la fortuna di vivere, rimangono indimenticabili.

Dati:

          1956.-  Data primo tesseramento FIDAL.

Sicuramente Emilia partecipò alle Olimpiadi di Roma ’60: mi raccontò più di una volta del volo degli innumerevoli uccelli nel cielo dello Stadio Olimpico, durante la cerimonia di apertura dei giochi; li vide da vicino, era sul campo, a diretto contatto con l’evento ed i protagonisti.

Custodisco gli annuari dell’atletica italiana dal 1973 e sono riuscito a ricostruire in linea di massima la sua carriera e le onorificenze che ha avuto sia dalla FIDAL che dal CONI:

            1973.-   La Signorina è in elenco tra i giudici di livello nazionale (circa 120 giudici) ed è tra gli insigniti delle “querce al merito” di primo grado (dal 1971)!

            1976.-   E’ nell’albo nazionale dei giudici con mansioni speciali (UGI). Fa parte di una  rosa ristretta di 25 giudici in Italia: sicuramente un salto di elevato livello.              

              In questo ambito, sicuramente, oltre alle qualità specifiche da giudice, c’è la

              partecipazione a numerosi meeting, quindi ad un impegno cospicuo e costante.

1979.-   Altro salto di qualità: Emilia è nell’elenco dei giudici di ruolo nazionale e

              internazionale. Partecipa come giudice alla Coppa Europa per nazioni di Torino: lei decide la vittoria di Mennea (al fotofinish) nei 100m per un centesimo di secondo su Woronin!

1984.-    E’ nell’elenco dei giudici di ruolo nazionale e internazionale. Nel 1981 ha compiti importanti in occasione della Coppa del mondo, Roma 1981.

             Se ricordo bene, in questo periodo esce dall’ambito nazionale ed entra nello staff che dirige in Europa, meeting di livello internazionale, es. Campionati Europei.

1985.-  Le onorificenze federali nazionali del C.O.N.I, che iniziano con le querce, passano ad un livello superiore: le stelle. Bene, Emilia conquista la sua prima stella di bronzo!

1987.-   La Signorina è nell’elenco dei giudici internazionali degli ufficiali di gara.

1990.-  Altra conquista: la Signorina entra nella storia dei giudici dell’Atletica leggera: la si trova tra i giudici benemeriti, tra le persone che hanno contribuito alla crescita di

            questo sport, dagli albori ad oggi.

A memoria mia, la Signorina poi riduce la sua attività in ambito regionale e locale, manifestando sempre il suo entusiasmo e la sua personalità gioiosa e discreta, al servizio dell’atletica leggera e dei suoi praticanti, un mondo che in ogni manifestazione o meeting di qualsiasi livello è storia della vita dell’uomo. Lei ne è stata parte e lo sarà sempre.

Giorgio Giordanino, classe 1938, docente in pensione, respirando l’aria ossigenata del vicino parco di Villa Toeplitz, dove ora risiede, così ricorda la sua carriera di Giudice di Gara: “Siamo agli inizi degli anni Sessanta. Abitavo a Busto Arsizio ed ero iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza. Come spesso capitava allora, gli studenti universitari guadagnavano qualcosa facendo supplenze, e una delle materie più disponibili era educazione fisica. In qualità di prof. di ginnastica mi chiesero se volevo dare una mano al mondo dell’atletica leggera, come giudice di gara. Avevo praticato calcio nei ragazzi del Catania, amavo lo sport, accettai. Ci convocarono a Varese, iscritti ad un corso, con tanto di esame e patentino finale. E lì iniziò la mia carriera di giudice, che non durò a lungo in verità, perché era molto impegnativa: nessun guadagno, ci chiamavano da Varese, ci chiedevano la disponibilità e la domenica si partiva, gare a Masnago, a Busto..e poi le corse campestri. Ricordo le vittorie di Begnis, Gervasini. Ho un ricordo particolare di Angelo Groppelli, che poi divenne mio collega al liceo. Gara a Busto Arsizio, io ero giudice proprio al getto del peso. Groppelli ad un certo punto voleva abbandonare la gara perché il pubblico rumoreggiava e io gli disse: – Come facciamo? Ora vado in tribuna a dire di fare silenzio? – Non era come adesso, soprattutto per gli arrivi delle gare di velocità: era facile individuare il primo arrivato, ma per le altre posizioni?”

Il fiduciario provinciale dei GGG (Gruppo Giudici di Gara) è Mario Sarcuno. Approfitto di una bella intervista sul numero 3-2020 del bimestrale ‘Voglia di atletica’ (Rivista della Fidal Lombardia) per presentarlo e conoscerlo.

E’ giudice da 35 anni, nato in Basilicata arriva in Lombardia a 16 anni, gioca a calcio, poi comincia ad arbitrare nel calcio e nella pallavolo. Quindi l’atletica leggera.

“Fare il giudice di gara nell’atletica leggera è la cosa più semplice del mondo” dice nella citata intervista. “Ma ci vuole passione, senza quella non si va da nessuna parte.”

Per Mario Sarcuno un buon giudice deve avere queste cinque caratteristiche: conoscere il regolamento, mantenere una certa freddezza di giudizio, aver voglia di stare all’aria aperta e in mezzo alla gente, avere grande rispetto per tutti, mantenere lucidità e pazienza.

“Come giudici di gara a Varese dobbiamo seguire fra le 80 e le 90 gare l’anno, un paio di gare la settimana in inverno, anche quattro in primavera-estate. Come organico siamo un po’ risicati.”

Infine un invito ai giovani che iniziano questa attività sportiva: “Non guardate al dio denaro!”

In effetti di soldi non ce ne sono molti, né per chi pratica l’atletica da atleta, ma soprattutto per chi deve accontentarsi di una modestissima indennità come giudice di gara. Ma ecco l’elenco degli attuali, appassionati giudici varesini:

Bianchetti Annalisa, Borgonovo Aldo, Castelli Pietro, Corda Enrica, Di Salvo Adriana, Ferrario Emilio, Fuso Simone, Guerra Elisa, Lasco Andrea, Logozzi Giovanna, Logozzi Maria, Macchi Giuseppe, Menzulli Francesco, Montanaro Armando, Parini Pamela, Pesce Sergio, Porro Massimiliano, Raile Carlo, Rimoldi Luigi, Rivis Enzo Mario, Roma Donatello, Sarati Ezio, Sarcuno Mario, Scaltritti Marco, Vignati Francesco, Villa Sergio.

Mario Sarcuno, fiduciario provinciale dei Giudici di Gara.

24   Ai piedi delle Prealpi

Visitando il sito della Fidal provinciale, a fine 2021 abbiamo l’elenco di 54 Società tesserate, non poche nate in questi ultimi vent’anni. La Società più longeva è l’Unione Sportiva Virtus Atletica di Somma Lombardo, datata 1964. Abbiamo poi due Società del 1973, la Libertas Uboldo e la Polisportiva Olonia di Olgiate Olona. Del 1976 è la Sesto 76 Lisanza di Sesto Calende, del 1978 l’Atletica Malnate, del 1980 la Nuova Atletica Varese, quindi via via tutte le altre.

Questo il Consiglio della Fidal per la provincia di Varese:

Fabio Ferrazzi – Presidente

Carmine Pirrella – Vicepresidente

Daniela Cionfrini

Marco Lazzati

Vittorio Ciresa

Roberto Strada

Mario Sarcuno

Riccardo Reddi

La sede dovrebbe trasferirsi al più presto presso il campo scuola ‘Bellorini’ di Calcinate degli Orrigoni, a Varese.

Fabio Ferrazzi, attuale Presidente del Comitato Provinciale Fidal, quando praticava atletica leggera a livello agonistico.

Come scritto in premessa di questa ricerca, che si avvia ormai alla conclusione, come all’ultimo chilometro di una maratona (per me assai piacevole, in verità), non ho voluto toccare il terreno del sud della provincia, che meriterebbe una ricerca a parte. Mi scusino quindi gli amici atleti e allenatori di Busto Arsizio, Gallarate, Saronno, Cairate, Sesto Calende, Somma Lombardo…Qui si è solo fatto cenno della loro meritoria attività a vantaggio dell’atletica leggera.

Qualche ultimo dato e immagine in merito alle società prettamente varesine, quelle che si trovano ai piedi delle Prealpi, quelle che meglio conosco e che qui ho descritto.

Ricavando i dati dal sito della Fidal provinciale, fra le società di Varese e immediate vicinanze abbiamo, come numero di tesserati, Gavirate con 300 tesserati, Malnate con 267, Arcisate con 208, la Nuova Atletica Varese con 185, Tradate con 155, Varese Atletica con 131, i Runner Varese con 121, il Cus Insubria con 111, Campus Varese Runners con 66, Varese Triathlon S.B.R. con 56 e lo Sci Nordico Varese con 11.

L’Osa Saronno, probabilmente la più ‘tesserata’ in provincia, ha 532 iscritti alla Fidal.

Ed è proprio citando l’Osa Saronno che non posso non parlare (andando al di là del mio intento) di un atleta saronnese che ha dato lustro all’atletica di casa nostra: Lorenzo Perini. Parlando di lui ho anche modo di mettere in pagina la sua allenatrice, Fernanda Morandi, coach storica della città degli Amaretti. Figlio d’arte (suo padre Maurizio è stato campione italiano allievi nei 100 ostacoli nel 1980), Lorenzo è del 1994, gioca principalmente a calcio, ha modo di assaggiare anche l’atletica e dimostra subito una predisposizione non comune per gli ostacoli, tanto da convincersi a lasciare la palla a scacchi. Abbatte molti primati italiani nelle categorie giovanili, nel 2015 è bronzo agli Europei under 23 nei 110hs, dal 2016 è allenato da Giorgio Ripamonti. Ha un personale di 7″66 sui 60 hs da 106 (2019) e di 13″46 sui 110 hs da 106 (2019). Per otto anni nell’Aeronautica Militare, lo scorso anno ha lasciato l’arma per dedicarsi alla sua professione di medico odontoiatra, ma ha promesso che continuerà a gareggiare, naturalmente per la Osa Saronno.

Lorenzo Perini, grande ostacolista varesino.

Mi soffermo ancora un attimo sul sud della Provincia e resto ai 110hs perché mi sembra giusto citare un altro atleta, oggi giornalista che segue proprio la Regina degli sport per il quotidiano ‘La Prealpina’. Si tratta di Silvestro Pascarella, classe 1966, ottimo ostacolista. Allenato da Maurizio Sartorelli quando gareggiava per la San Marco di Busto Arsizio, è poi stato chiamato dalla Snia di Milano, dalle Fiamme Azzurre, dalla società valdostana di Pont Donnas e dallo Sport Club Catania. Allenato da Beppe Cappelletti, vanta un personale di 14″31, ha vestito la maglia della nazionale giovanile, a vent’anni era sesto in Italia, finalista agli Assoluti. Grande sportivo, ancora gareggia non più sugli ostacoli ma nella corsa lunga, un tempo ‘odiata’ ed oggi amata. Ha preso parte lo scorso 13 marzo alla Campo dei Fiori Trail, 28 chilometri di dura fatica.

Silvestro Pascarella quando gareggiava per Pont Donnas.

E resto ancora alla OSA Saronno e ad un giovane velocista, questa volta senza il ‘disturbo’ degli ostacoli. Sì, anche Varese pare avere il suo Marcell Jacobs, almeno nelle speranze. Si tratta di Filippo Cappelletti, classe 2003, capace a 18 anni di un 6″84 sui 60 e di un 10″42 sui 100. Allenato da papà Beppe, ha già preso parte lo scorso 2021 ai Mondiali e agli Europei Under 20.

Filippo Cappelletti.

Sabato 29 giugno 2019, in mattinata, un bel sole caldo illuminava e scaldava i presenti al taglio del nastro, nuova pista in tartan, nuove pedane per l’impianto ‘Gianni Bellorini’ di Varese e nuova struttura al coperto, intitolata al prof. Enrico Arcelli. Autorità, atleti, ex atleti e addirittura una medaglia d’oro olimpica, Stefano Baldini, vincitore della maratona di Atene 2004. Presenti fra le ragazze Eleonora Alberti e Ludovica Avigni, due fra le più concrete speranze di ottimi risultati futuri. Fra i ragazzi Manuel Zanini, mezzofondista abituato alla vittoria. Ma soprattutto tanti ragazzi e ragazze, sorridenti, con i loro più che comprensibili sogni olimpici nel cassetto, con la voglia, il bisogno di correre, saltare, lanciare.

Bisognerebbe trascrivere qui i nomi di tutti (allenatori, atleti, dirigenti…) perché tutti meriterebbero la citazione. Per varie ragioni è impossibile, ma loro sanno che sono presenti, parte importante di questa bella storia varesina.  

29 giugno 2019: alla presenza del campione olimpionico Stefano Baldini, inaugurazione dell’impianto rinnovato a Calcinate degli Orrigoni.
Fra le autorità presenti al taglio del nastro, anche il vicesindaco Daniele Zanzi che, come tanti altri varesini, è un runner appassionato, maratoneta di lunga esperienza. Eccolo nell’agosto del 2021, diretto verso il Campo dei Fiori, nella tradizionale ‘Salita alle Tre Croci’ organizzata dagli Alpini di Varese, da Sestero onlus e dalla S.C. Binda.
Il nuovo impianto al coperto di Calcinate, intitolato al prof. Enrico Arcelli.
Gruppone della Nuova Atletica Varese, qui fotografato il 29 giugno 2019.
Gruppone della Varese Atletica, versione 2021.
Jacopo Peron, classe 1996, della Varese Atletica: un ottocentista da 1’49″01.
Atterraggio non leggerissimo di ‘Poppi’ Montalbetti, lunghista della Biumense negli anni Sessanta.
Volo leggero ed elegante di Ludovica Avigni.
Ostacoli alti sulla pista del ‘Franco Ossola’ negli anni Sessanta.
Partenza dai blocchi per Eleonora Alberti.
Bruno Pinzin sovrastato dalla montagna delle ragazze Nav.
Ottime prestazioni per Nav e Gavirate.
Enrico Arcelli in questa foto storica, con atleti e allenatori della Pro Patria San Pellegrino.
Enrico Arcelli ad un convegno recente.
Febbraio 2020: Manuel Zanini (primo a destra), terza media alla ‘Vidoletti’, poco prima di vincere il titolo regionale ‘cadetti’ ai Giochi Sportivi Studenteschi, corsa campestre all’ippodromo delle Bettole.
2017 Ancona Finali nazionali 60 indoor ‘allieve’: Eleonora Alberti campionessa italiana.
Manuel Zanini: il futuro
La manutenzione non è mai troppa
Bobo Gervasini, le sue idee sullo sport agonistico, i suoi ricordi dell’atletica varesina d’antan: un grande atleta, una passione vera per l’atletica leggera.

Vittoria e Ludovica

Come già scritto, questa ricerca non comprende realtà importanti come Busto Arsizio, Gallarate, Cairate, Castellanza, Saronno, Olgiate Olona, Sesto Calende, Somma Lombardo….luoghi che in provincia di Varese hanno dato molto, e molto daranno ancora all’atletica leggera. Magari in una seconda puntata della mia ricerca andrò anche in quella zona della provincia dei laghi. Ma non posso non citare queste due ragazze, mi parrebbe davvero quanto meno una mancanza di cavalleria. Parlo di due velociste che sono salite agli onori della cronaca in questi anni, e che promettono assai bene per il futuro.

La prima è Vittoria Fontana, nata a Gallarate il 23 luglio del 2000, avviata all’atletica da Sandro Torno, allenata da un altro nostro prof. di ginnastica, Giuseppe Cappelletti, campionessa europea under 20 sui 100 metri nel 2019 a Boràs, detentrice del primato italiano assoluto della staffetta 4×100, 42”84 ottenuto alle Olimpiadi di Tokyo 2020 nel 2021 insieme a Irene Siragusa, Gloria Hooper e Anna Bongiorni. La seconda è la giovanissima Ludovica Galuppi, nata il 17 gennaio del 2005 a Castellanza, tesserata per la Bracco di Milano, che ha già ottenuto titoli italiani di categoria e tempi importanti nei 60 (7”44), nei 100 (11”75) e nei 200 (24”19).

Chissà…mi piace immaginare nei prossimi anni una staffetta 4×100 femminile tutta composta da atlete della nostra provincia: Fontana, Galuppi, Alberti, Avigni. Sognare è lecito.

Boras (Swezia) 18- 21/07/2019 Campionati Europei under 20 , European athletics U20 – foto di Giancarlo Colombo/A.G.Giancarlo Colombo
Ludovica Galuppi

25 La ‘mia’ atletica

Mi pare bello concludere questa veloce corsa all’indietro, e poi in risalita, sulle tracce dell’atletica varesina parlando della ‘mia atletica’, del mio amore per la regina dello sport, in questo caso per la regina delle Prealpi.

Il mio incontro, avendo scelto come sport d’elezione la ginnastica artistica, risale alle scuole medie, da me frequentate alla ‘Augusto Righi’ di via Como, a Varese. La sola atletica praticata nell’ora di ginnastica, prof. Secchia, è stato il salto in alto all’italiana, cioè stile frontale con atterraggio su sottili materassini. Senz’altro superai il metro, ma non ricordo la misura esatta, forse 1.10 – 1.15. Passando alla quarta ginnasio, liceo classico ‘Cairoli’ di via Dante, ecco il prof. Ottorino Girardin, che mi iscrisse (o scelsi io di iscrivermi) ad una campestre provinciale dei Campionati Studenteschi. Senza alcuna preparazione specifica, ricordo solo un campo della bassa varesina, fatica ma anche spirito goliardico, che mi spinse sul finale a camminare con altri compagni; arrivammo quando stava già partendo la gara successiva. Una figuraccia, non un buon ricordo, pessimo approccio all’atletica leggera. Passiamo allora al 1972, che invece segna l’inizio della mia passione per la corsa di resistenza, la corsa in steady-state, equilibrio di ossigeno, con poca fatica e molta gratificazione. Siamo alla vigilia delle Olimpiadi di Monaco, atleti in completo Adidas, canotta, pantaloncini, scarpe, chiodate e non. Andai a Lugano o a Mendrisio, non ricordo se in bici o in motorino, comprai due tute Merboso e un paio di scarpe Adidas Mexico. Ricordo che guardavo spesso la televisione della Svizzera italiana, trasmettevano molto sport, pubblicità sportive che in Italia non passavano. Quell’estate, in vacanza con gli amici in Val Gardena, avevo preso l’abitudine di alzarmi all’alba, verso le 6, e di uscire da solo a correre. Iniziai molto gradatamente ma ben presto (avevo 16 anni e un fisico preparato dalla ginnastica artistica) notai i miglioramenti, riuscivo a correre a lungo, anche un’ora, senza molta fatica, e pensare che correvo a 1500 metri sopra il livello del mare. Mi innamorai di quel percorso, la vecchia strada del trenino della Val Gardena, Santa Cristina, Selva, Ortisei, ma soprattutto mi innamorai della corsa lunga. E sempre in quel periodo, pur non abbandonando la ginnastica, ci si divertiva in palestra, utilizzando la pedana del corpo libero, ad imparare il salto in alto stile fosboury, visto per la prima volta alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. E lì sì che la ginnastica artistica mi aiutò, arrivando presto a saltare la mia altezza, cioè 180.

Sportivo a 360°, amavo anche la bicicletta, la corsa la praticavo solo nei 15 giorni estivi, fra i monti. Ma che bella sensazione!

Del liceo ho un altro ricordo poco felice, sommato alla campestre già descritta. Probabilmente in prima o seconda liceo, prof. Raimondo Albricci, mi iscrissi alla gara dei 110 ad ostacoli dei Campionati Studenteschi, che non avevo mai provato ma che pensavo di affrontare con facilità, avendo mobilità articolare, elasticità muscolare, tono e predisposizione nell’apprendere nuovi movimenti. In realtà fu una triste esperienza, pioveva alla grandissima, mi trovai davanti ostacoli molto alti, nell’affannoso tentativo di recuperare terreno inciampai a metà gara, caddi, non mi feci nulla ma sommai una seconda figuraccia.

Il mio amore per lo sport mi convinse che sarei diventato prof. di ginnastica, e qui ho un ricordo particolare, perché in vista delle prove di ammissione all’Isef coinvolsi il mio amico, atleta della Biumense, Giovanni Argese detto Giagor, che mi prestò le sue scarpe chiodate e mi diede qualche dritta, perché era prevista una prova sui 100 metri. Sfidai Giagor sui 400 metri, sapendo bene che lui era forte sui 10.000 ma che nel giro di pista avrei potuto dire la mia; lì sperimentai cosa vuol dire avere una buona e una pessima tecnica di corsa, cosa vuol dire distribuire lo sforzo. Partii a razzo, ai 200 mi raggiunse e mi passò con eleganza e con un sorriso beffardo.

Superai il concorso per entrare all’Isef Cattolica a Milano. Lì incontrai il guru Alessandro Calvesi, al termine della sua carriera, docente carismatico, allenatore fra gli altri di Eddy Ottoz, medaglia di bronzo sui 110hs alle olimpiadi di Città del Messico. Fu il mio docente solo il primo anno Isef, ricordo i famosi test delle collinette al Fenaroli e l’altro, della piscina vuota: due prove piuttosto impegnative. Poi ricordo il mio personale nel salto in alto, 180, con il rischio di uscire fuori dai materassoni. Sin dai primi anni di insegnamento ho sempre dato ampio spazio all’atletica nel mio programma, ma per molti anni (matrimonio, famiglia, figli, lavoro…) fui costretto a ridurre di molto la mia pratica sportiva.

Nel 1996, a quarant’anni, notando una certa perdita di tonicità e un discreto affanno nella respirazione, pensai che sarebbe stato assai opportuno riprendere con la pratica sportiva. Ottima scelta, un ritorno allo sport che da allora non mi ha più abbandonato. E ripresi proprio con la corsa, gradualmente, con l’obiettivo assai ambizioso di correre una maratona. Mi allenavo costantemente lungo l’anello del ‘Franco Ossola’, qualche volta sul nuovo impianto di Calcinate degli Orrigoni, affrontavo la rizzàda delle Cappelle, qualche ‘lungo’ e nel 1999 corsi addirittura due maratone, una in primavera, a Piacenza (3 ore e 46’) e un’altra in autunno, a Cesano Boscone (3 ore e 29’). Nel 2000 partecipai alla mezza maratona di Malta (1 ora e 28’), poi feci quattro calcoli: continuare con la corsa voleva dire cercare di migliorare i tempi, non accontentarsi di arrivare al traguardo, quindi più allenamenti, più intensità, più ripetute, più tutto e quindi anche più usura per articolazioni, cartilagini, tendini…Decisi quindi di passare al triathlon, amavo la bici, cercai di migliorare nel nuoto. Mi concentrai, per ciò che riguarda la corsa, sui 10 km, la distanza del Triathlon Olimpico, partecipai alle corse del Piede d’Oro e a quelle dei Marciatori. E corro ancora, a 65 anni, con parsimonia; corro soprattutto quando piove (se piove forte faccio cammino veloce con ombrello!), se il meteo è favorevole preferisco la bici, solo in salita, meno traumatica del podismo. La corsa è bella ma col tempo è logorante, usurante, anche se praticata con moderazione, figuriamoci se praticata intensamente. E quando le cartilagini sono consumate il dolore obbliga a fermarsi, la volontà non basta ed è anche controproducente.

Il mio sogno, il mio idolo attuale è un personaggio che qui abbiamo menzionato, Alfredo Bianchetti, che alla veneranda età di 86 anni ancora corre e gareggia. Non ho il suo fisico e la sua tempra, però vado avanti passo dopo passo, balzo dopo balzo, chilometro dopo chilometro, godendomi la fregola delle endorfine, ringraziando perché non ho dolore (la mia regola ferrea è: ‘Mai fare sport sul dolore!’) e non devo prendere l’Aulin per correre. Corro con quello che io chiama ‘ritmo Arcelli’, cioè un’andatura lenta e controllata, quella che il grande medico sportivo (che ho avuto il piacere di conoscere, essendo fra l’altro mio vicino di casa) utilizzava gli ultimi anni della sua vita. Fu lui, negli anni Novanta (ci incontrammo per caso correndo) ad indicarmi un sentiero che dalla chiesetta di San Cassiano portava al sentiero 10 del Poggio, un tratto che è entrato di diritto nel mio percorso che chiamo ‘Big Tour’, 9 chilometri rilassanti, saliscendi fra Sant’Ambrogio, Casciago, Velate, un po’ sterrato un po’ asfalto, strade che senz’altro hanno utilizzato e sfruttano centinaia e centinaia di runners varesini, e i piedi buoni (in alcuni casi buonissimi e nobili) degli atleti che qui abbiamo descritto, i vari Begnis, Gervasini, Cadonà, Cantoreggi, Bronzi, Brugnoni, Segrada, Gazzotti, Maffei, Giardiello, Calandro, Macchi, Elena Begnis e mi scusi chi non ho citato, perché avrei dovuto fare tanti altri nomi.

Corro in Villa Toeplitz, sui sentieri e le collinette tanto amate dal prof. Arcelli, che ora è lì ricordato da un gimko biloba, da una piccola targa e dalla statuetta di un podista in azione: passo, un segno di croce, un saluto, una preghiera. Lo rivedo correre con l’amico Giacomo Ierardi, suo fedele compagno negli ultimi anni di attività sportiva. E sempre in suo onore ho chiamato ‘Tour Arcelli’ il percorso di 7 chilometri che corro in Villa Toeplitz.

Concludo con un’altra mia piccola ‘mania atletica’. Sono una persona molto ripetitiva, che ama i riti, gli appuntamenti annuali. Anni fa, quando chiuse i battenti il noto negozio di sport Toreador di via Crispi, mi tolsi una soddisfazione, comprai un paio di scarpe chiodate Adidas, in vendita con supersconto. Una volta l’anno mi reco sulla pista in tartan del campo scuola ‘Bellorini’, tartan rinnovato nel 2019, insieme alla realizzazione, finalmente, di un rettilineo e strutture al coperto. Sul finire dell’estate saluto i miei amici coach della Varese Atletica e della Nuova Atletica Varese e porto a termine il mio ‘test delle chiodate’, cioè 20 giri di pista, 8000 metri, 4000 con scarpe normali e 4000 con i chiodi. Correndo gusto la magica sensazione che regala il passo bloccato dalla morsa dei chiodi, il fondo rosso che ti fa rimbalzare, socchiudo gli occhi e immagino di essere Gelindo Bordin al suo ingresso vittorioso nello stadio olimpico di Seul 1988 (anche se i maratoneti non hanno scarpe chiodate), oppure Stefano Baldini ad Atene 2004, quando visse la straordinaria emozione di un oro olimpico proprio nella patria della maratona. Poi mi ridesto, mi ridimensiono, concludo il test comunque felice e, nel mio piccolo, soddisfatto.         

22 settembre 2021 – Carlo Zanzi al termine dell’annuale test delle chiodate sulla pista in tartan dell’impianto ‘Gianni Bellorini’ di Varese.

Post it

Ecco il bello di un blog-book come questo, i post-it che si aggiungono all’ultimo momento. In questo caso è assai gradito, perché se avevamo iniziato proprio con Pietro Arese, vincitore della Varese City Run dell’ottobre scorso, ci è data la possibilità di chiudere in bellezza, sempre con Pietro, che non sarà parente del grande Franco Arese, ma che corre veloce come lui. L’occasione ci è fornita dalla finale dei 1500 dei Campionati mondiali indoor di Belgrado, che si sono conclusi domenica 20 marzo 2022. Arese, che è torinese ma da anni è qui da noi, studente all’Università dell’Insubria e pedina preziosa del College del mezzofondo, allenato da Silvano Danzi, quando parte per la qualificazione alla finale mondiale è 63esimo nel ranking internazionale. Arriva secondo, 3’37”31, a soli due centesimi dal record italiano. Domenica la finale, ottavo al mondo, 3’37”60, ancora un tempone. “Questi mondiali sono stati per me un buon bagaglio di esperienza” dice Pietro, con occhi soddisfatti e cuore speranzoso, verso una stagione outdoor che lo vedrà protagonista. E noi lo promuoviamo varesino ad honorem.  

20 marzo 2022 – Pietro Arese è ottavo nei 1500 ai Campionati Mondiali Indoor di Belgrado

Grazie

Al termine di questo mio lavoro desidero ringraziare quanti, in vario modo, hanno contribuito alla ‘confezione’ di questa storia. Un grazie particolare a mia figlia Valentina, per la realizzazione delle copertine. Grazie a tutti i miei alunni, che praticando atletica leggera mi hanno dimostrato sul campo la bellezza di questo sport. Per debolezza di padre abbraccio le mie figlie Valentina, Maddalena e Caterina: tutte e tre hanno fatto l’esperienza dell’atletica leggera alla Nuova Atletica Varese, regalandomi forti emozioni. Infine un grazie al Comune di Varese e alla Civica Biblioteca, che mi hanno concesso il Salone Estense per la presentazione di questo blog-book.

So bene, per lunga militanza di scrittura, che il libro conterrà inesattezze, refusi, spero non errori grossolani. Il vantaggio di un libro come questo sta nella possibilità di correzione. Chi intende proporre ritocchi, aggiunte, altro materiale può farsi vivo. Lascio qui i recapiti.

c.zanzi56@gmail.com

338.6806423

Bibliografia

Natale Cogliati                        Vincere è bello                                  L.V.G. 1988

Thor Gootas                            Storia della corsa                              Odoya 2011

Garzanti e Coni                       Il libro dell’atletica leggera                Garzanti 1974

Gianpaolo Ormezzano             Olimpiadi 2004                                 DeAgostini

Vito Romaniello                      100 volte Varese                                SunriseMedia

Alberto Vanetti

Fulvio Campiotti                     I cento anni della VARESINA

Panathlon Club Varese            Cinquant’anni per lo sport                  Macchione

Jaronir Velat                           Da Atene a Roma                              Ed.Riuniti 1960

Annuario Atletica Biumense 1976.77

Rivista ‘Sul Sagrato’ 28           giugno 1996

Settimanale ‘Luce’

Quotidiano ‘La Prealpina’

Wikipedia

Volume ‘Storia dello Sport a Varese’ da Enciclopedia ‘Storia di Varese’ Università dell’Insubria, capitolo sull’atletica leggera, curato da Enrico Arcelli e Giuseppe Balsamo.      

Sito della Fidal provinciale

Siti delle Società sportive di atletica leggera della provincia di Varese

Sito della Riccardi di Milano